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Le notizie che non scriviamo

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Caro Gabi,
abbiamo una cena in sospeso, ce lo eravamo detti qualche mese fa, proprio quando ci siamo scattati questa foto. Non ho tutta questa voglia di scrivere, preferirei il silenzio, ma sono certo che queste parole ti avrebbero fatto piacere e allora eccomi qui.


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La chiamerò Mia, ha scelto lei questo nome di fantasia. Quello autentico voglio lasciarlo al riparo dai cacciatori di lacrime, quelli che cercano tracce di sangue utili per fare share. Quelli dei microfoni piazzati sotto il naso di gente disperata e vulnerabile.

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Rispondo con dolore alla lettera di addio lasciata da Riccardo Morpurgo, imprenditore di Senigallia che ha optato per la soluzione estrema. Togliersi la vita.


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Ci sono baci e baci e quello di una sorella ad un fratello contiene tutto ciò che serve per dare un senso alla vita. C’è l’appartenenza alla famiglia, c’è l’amore elevato alla potenza e soprattutto c’è la fusione tra due persone che dopo un cammino interminabile hanno raggiunto il loro sogno.
È un bacio denso di reciproca gratitudine.

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Mica semplice raccontare l’amicizia che mi lega a Mauro Uliassi. Del resto l’amicizia non ha bisogno di troppe spiegazioni. Esiste e basta. E allora di cosa posso parlarvi? Della sua genialità e della sua passione? Nulla di nuovo, come dire che Cristiano Ronaldo è nato per vincere e che Andy Warhol era un provocatore.

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L’unico pallone che ho incontrato a Canavieiras (Brasile) era logoro, scucito, sgonfio, ma ancora vivo. L’ho fotografato perché manteneva inalterata la sua dignità. Nonostante gli acciacchi era ancora un pallone. I bambini delle favelas lo calciavano a piedi nudi e lui, obbediente, anche se con fatica, continuava a rotolare facendoli sognare. Quella rimane la partita più bella che abbia mai visto.

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Cosa racconto a cinquecento studenti colpiti a tradimento dalla vita? Come spezzo questo silenzio terribile? Che argomenti posso utilizzare per creare un filo tra loro e la vita che comunque va avanti?

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Sono le 2,30 di notte. Squilla il telefono di Riccardo, mio amico e papà di Laura. C’è proprio lei al telefono, è sotto choc perché la morte spaventa tutti, ma quando ti sfiora a 15 anni rappresenta un fatto non codificabile: “Papà, qui c’è stata una tragedia, io per fortuna sono scappata dalla parte giusta”.

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Era da qualche settimana che sentivo parlare di terza stella al ristorante Uliassi, ma quando di recente ho incontrato Catia e Mauro mi sono ben guardato dal solo sfiorare il discorso. Certe speranze si alimentano in silenzio dentro noi e intanto continuano a crescere. I sogni importanti devono covare sotto la cenere mentre le troppe parole sottraggono energia, e Catia e Mauro sanno usare le parole giuste da sempre.

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Non è bello la domenica mattina essere svegliato dalle schioppettate di un fucile. Apro la finestra e vedo il tipo. Si rimette il fucile in spalla e continua a camminare lungo il perimetro della recinzione del mio giardino. Non gli urlo nulla perché non ne ho voglia, per legge dovrebbe starsene almeno a 100 metri dall’abitazione, ma battezzare la domenica mattina litigando con un cacciatore mi angoscia.

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Al caseificio “Pastorello di Cupi” era rimasta solo una cosa dopo il terremoto. La disperazione. Niente riparo per gli animali, niente mangime per nutrirli, niente acqua per abbeverarli, niente macchinari per produrre formaggi e ricotte e neppure una casa dove abitare.

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Oggi (venerdì 22) Francesco Saccinto avrebbe compiuto 19 anni. Purtroppo il 10 settembre 2013 un tossicodipendente ubriaco senza patente ha spezzato il suo percorso terreno e da allora per Simonetta e Vittorio il dolore è adesso. Ogni istante è dolore, nessuna alternativa.

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Sono seduto di fronte alla TV. È un venerdì sera. Un giornalista pone delle domande a una donna. Lei è la mamma di Noemi Durini, la ragazza salentina uccisa brutalmente il tre settembre e poi sepolta sotto un cumulo di pietre.

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Spiaggia di notte pericolosa come Scampìa o Tor Bella Monaca. Lo stupro di Rimini e poi il bagnino picchiato a Senigallia. Trascuriamo i gesti vandalici contro le attrezzature perché non fanno neppure più notizia. E non bastano le telecamere di sorveglianza e neppure le potenti luci che spesso illuminano a giorno l’arenile.

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“No selfie. Luogo di rispetto”. Leggo il cartello e all’istante rimango interdetto. Siamo nel cuore di agosto e transito per Amatrice in moto. Impossibile non fare una sosta di qualche minuto. Mi affaccio verso quello che era il centro del paese e vengo attratto da quel cartello anomalo, probabilmente il più intelligente che abbia mai visto esposto lungo una pubblica strada.

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Da quell’intervista radiofonica a Enzo Tortora sono passati 33 anni. Nonostante di cose ne abbia fatte parecchie, quella resta una pietra miliare della mia vita giornalistica.

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Capita che un giornalista si imbatta nella complicatissima rete del sistema sanitario senza una penna o una telecamera al seguito, ma con una madre di 84 anni da consegnare ai chirurghi per una operazione di tumore alla mammella e l’asportazione di alcuni linfonodi.