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intervista
Festival Epicureo 2022, Pierre-Marie Morel: “È necessario imparare a non temere il futuro, individualmente e nella sfera privata dell’amicizia”

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di Giulia Ariti


Parlerà di “politica epicurea, fra ottimismo e pessimismo” Pierre-Marie Morel, professore di Filosofia alla Sorbona di Parigi. Il suo intervento si terrà nel pomeriggio di venerdì 22 luglio, dalle 18 alle 20 in piazza Garibaldi a Senigallia.

Nella sua carriera si è occupato di moltissimi temi, anche di politica nella filosofia antica e ellenistica. Quali insegnamenti un politico contemporaneo dovrebbe trarre dalla filosofia epicurea?

"Uno dei numerosi problemi che si pongono ai politici contemporanei corrisponde a una questione classica di filosofia politica: come agire per l’individuo e per la comunità insieme, tenendo conto non solo degli interessi personali e minoritari, ma anche dell’interesse comune (sia al livello dello Stato, sia a quello dei rapporti internazionali)?

Si tratta di un problema ancestrale, ma di piena attualità. Oggi, la gente ha spesso l’impressione che le strutture collettive e le decisioni dei politici (senza parlare, naturalmente, del totalitarismo, dei conflitti d’interesse e delle diverse forme di oppressione politica) sono, per definizione, una minaccia tecnocratica per la libertà individuale o per le comunità particolari. Ne risulta il frequente disprezzo della politica e dell’uomo politico in quanto tale.

Da un lato, questa sfiducia non è del tutto assurda: è anche una reazione all’idea secondo cui gestire la vita personale spetta alla politica sola e che, alla fine, l’individuo conta poco. Dall’altro, sappiamo bene che l’individualismo e la prevalenza assoluta della scelta personale non è la risposta adeguata ai problemi collettivi. Parecchi eventi recenti (come la pandemia, che ha richiesto risposte collettive e amministrative) l’hanno bene ricordato. Tra individualismo e fede cieca nella gestione tecnocratica (tendenzialmente autoritaria), non c’è una terza via? Non si può concepire una politica più modesta, e capace di tener conto al contempo dell’individuo e della comunità?

Gli Epicurei, credo, hanno un’idea chiara e giusta del problema: da un lato, sostengono che la felicità non ha a che fare con il potere politico, e che è sempre meglio rimanere nella sfera privata, “vivere nascosto”, come diceva Epicuro.

Dall’altro, hanno una concezione positiva del giusto politico perché sono perfettamente consapevoli che non siamo esseri solitari e che c’è anche un bene comune (il bene per la comunità). Di fatto, per il Giardino, l’uomo politico non è necessariamente una figura negativa. Quindi, credo che un politico contemporaneo abbia qualcosa da imparare dall’epicureismo: benché l’individualismo (e l’indifferenza verso il bene comune) non permette di vivere bene, una fede cieca nella politica in quanto tale è sicuramente pericolosa. Senza troppo forzare i testi, credo che vanno nel senso di una politica più modesta, consapevole dei suoi limiti. Questa bella lucidità, reperibile nel discorso epicureo, meriterebbe certamente l’attenzione dei politici, e anche dei cittadini."

Lei giunge dall'ambito accademico francese. In quale direzione si dirigono oggi gli studi sull'epicureismo in Francia?

"In Francia, la pubblicazione in 2010 del volume “Les Epicuriens” nella famosa collana “La Pleiade”, grazie ai editori scientifici, il mio amico Daniel Delattre e Jackie Pigeaud, è stato un evento importante: ha messo in rilievo la ricchezza e la diversità della letteratura filosofica epicurea nell’Antichità, al di là di Epicuro e delle sue famose Lettere. Penso, in breve, che abbiamo ormai, in Francia, un’immagine più ricca dell’epicureismo, perché esso è meglio inserito nel suo contesto intellettuale.

Peraltro, siamo oggi più attenti, in Francia, alla dimensione scientifica della tradizione epicurea, al suo contributo allo sviluppo delle scienze del suo tempo, in particolare da Lucrezio. Almeno tre tesi di dottorato su Lucrezio sono state cominciate o scritte durante gli ultimi cinque anni, e tutte tre vertano sul rapporto alla scienza (in particolare la fisiologia, la biologia, la psicologia)."

Il titolo del suo intervento a questi festival è "La politica epicurea, fra ottimismo e pessimismo". Ce ne può accennare qualcosa?

"Il discorso epicureo sulla politica, e sulla sua capacità di rendere il nostro futuro migliore, è ambivalente. Come ho già segnalato, c’è una profonda sfiducia nei confronti del potere politico, in particolare da Lucrezio, ma anche in alcune massime di Epicuro. La vita politica (nel senso largo: la vita nelle città) ci allontana molto spesso dalla natura e rinforza le passioni negative (invidia, desideri illimitati, paura illegittima, etc.). Tuttavia una politica giusta è possibile (quando la legge è in conformità con l’utile alla comunità) e Epicuro pensa che, secondo questo criterio, il diritto (la legge scritta) è capace di adattarsi alle circostanze, dunque al futuro collettivo.

Rimane il fatto che il modo migliore per rappresentarsi il futuro è questo: esercitarsi, individualmente e nella sfera privata dell’amicizia, a non temere il futuro. Purché però il potere politico non sia uno ostacolo alla tranquillità! Un programma politico piuttosto minimale, no?

Infatti, l’unico futuro che sia nel nostro potere e quello della salvaguardia dell’anima, tramite l’atarassia, in conformità con l’insegnamento di Epicuro. Ora, questo è il lavoro dell’etica, non quello della politica. In breve, si può essere relativamente ottimisti in politica, a condizione di non dipendere dalla politica."

Questa è la sua prima volta al festival Epicureo. Quale pensa sia l'importanza di portare l'epicureismo alle persone?

"Il nostro contesto difficile e angosciante ha favorito un certo tipo di ritorno agli Antichi, alle saggezze dell’Antichità come rimedio all’ansia. Benissimo! Tuttavia, la tendenza è soprattutto di promuovere lo stoicismo. Più precisamente, uno stoicismo basilare e molto semplificato: accettare gli eventi, astenersi da agire etc.

Lo stoicismo autentico, in realtà, è più complesso e molto più ricco. Comunque, l’Epicureismo merita anche lui di essere messo in rilievo, perché porta un messaggio diverso ma altrettanto importante, soprattutto in questi tempi: un messaggio fondamentalmente positivo e fonte di gioia, almeno sotto due aspetti.

In primo luogo, Epicuro sostiene che non c’è contraddizione fra la moralità (volere e fare il bene per gli altri) e il vero piacere. Anche se tutti i piaceri non sono da scegliere, il piacere in quanto tale coincide con il bene: non è né un vizio, né una causa di squilibrio relazionale e emozionale. In altre parole: il piacere non implica il disturbo. Credo che accettare questo principio possa aiutare la gente a vivere meglio!

In secondo luogo, contro il discorso della religione e del dispotismo, non abbiamo altro padrone che la natura, cioè noi stessi. Di fatto, abbiamo per natura un potere straordinario, quello di governarsi, per quanto riguarda le cose più importanti: il benessere psichico, il controllo delle emozioni e dei desideri, l’amicizia.

Insomma, il nostro fine naturale (il piacere) è del tutto positivo e i mezzi necessari per raggiungerlo sono nel nostro potere. E quando dico il “nostro potere”, non voglio dire “nel potere del saggio, del professionista della filosofia”, poiché tutti gli esseri umani sono in grado di raggiungere la felicità grazie alla filosofia: donne, uomini, cittadini liberi e schiavi, giovani e anziani, filosofi confermati e principianti.

L’epicureismo non è solo una dottrina della consolazione, della risposta alla sfortuna e all’ansia; è una filosofia radicale della felicità e un programma di vita gioiosa: essere felice è possibile immediatamente per chi vuole. Da questo punto di vista, per quanto riguarda ciò che dipende da noi, si può dire che tutto va bene; e anche che tutto andrà bene!"

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