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Der Doppelgänger: aridatece er puzzone!


Per partire da un punto, vogliamo estrapolare quattro o cinque valori irrinunciabili e necessari, che secondo noi devono appartenere al bagaglio personale di chi si vuole impegnare in politica?
Provo a buttarne giù qualcuno io: ideali, passione civica, onestà, competenza. Vorrei aggiungere sani e robusti anticorpi democratici; ne ho in mente altri ma fermandoci qui, possiamo trovarci d’accordo che queste basi debbano essere indispensabili ora come allora? Bene. Quali sono invece i motivi per i quali mettersi in politica in mancanza di questi ideali? Interesse personale, non mi viene in mente altro. A questo punto le cose si cominciano a complicare, perché la cronaca ci ha consegnato elenchi telefonici di personaggi, a tutti i livelli, magari partiti con le migliori intenzioni e finiti con le dita impiastricciate nella marmellata. Ci torniamo.
Si diceva dei valori. I partiti un tempo erano tutti “isti” o “ani”, richiamavano ideologie, fedi, tradizioni: socialisti, comunisti, fascisti (loro sotto pseudonimo), oppure repubblicani, democristiani. Insomma non ti potevi sbagliare, se la pensavi in un modo, avevi il tuo punto di riferimento ideale. Oggi? Nomi di fantasia, marchi commerciali, posso votare per questo, ma alla fine anche per quello che cambia poco. Le sigle si adattano alle circostanze, alle convenienze. Per molto tempo - un tempo - il senso di onore e di servizio politico sono stati il faro della vita politica italiana: il famoso “senso dello stato”, da De Gasperi a Pertini. Come ebbe a dire Pietro Nenni, “fare politica sarebbe il mestiere più facile del mondo, se non comportasse l’obbligo di domandarsi cosa succederà il giorno dopo aver preso una certa decisione”.
Poi le ideologie sono marcite, sono arrivati gli yuppies, le Milano da bere, la politica sempre più costosa, pagata dai palazzinari o come dicono certi dalle salsicce alle feste di partito, le bombe rosse e nere, le disillusioni, il famoso “riflusso”. Non staremo qui a domandarci il motivo, alla fine anche la passione sociale, priva del propellente motivazionale, si è ridotta all’andare in giro per la città a fotografare lampioni rotti o marciapiede sconnessi. L’onestà! Laddove c’è potere, c’è corruzione purtroppo, da sempre e dovunque. Un sistema statale virtuoso possiede gli strumenti di controllo per proteggersi - dalla cabina elettorale, ai tanti politici onesti, alla magistratura - purché sia chiaro che anche i meccanismi di controllo sono strumenti di potere appetiti da chi ne voglia fare uso personale. Non mi sentirei di dire che l’attuale classe politica sia più immune alle tentazioni delle precedenti: 49 milioni fanno circa 100 miliardi del vecchio conio. Forse siamo solo noi, più rassegnati. Altri, molti, più complici.
Sulla competenza si gioca una battaglia disperata. Una volta, lo dico per chi non c’era, si iniziava a far gavetta a scuola, in sezione, con i volantinaggi, già diventare consigliere comunale era un passaggio importante di crescita, si faceva selezione. Oggi si passa dal bancone del negozio di famiglia all’ufficio di ministro. Un ragazzetto ai primi e magari prematuri passi in politica va in giro con un orologio di valore; un accademico ben pagato, adulto e senza calli risponde indossando l’orologio della Fiom (ritrovato forse in qualche cassetto di souvenir): livelli che ci ricordano il Catalano di “Quelli della notte”. Ho appena letto che un già importante quanto improvvisato uomo politico, nel presenziare alla campagna elettorale di una candidata, davanti alle tv ha confuso il suo nome con quello di una pornostar. Lapsus freudiano, hanno scherzato in molti. Berlusconi che faceva le corna alle foto opportunity internazionali ispira quasi tenerezza. La stagione politica cosiddetta della “prima repubblica” sostanzialmente durò decenni e riuscì a portare l’Italia tra le maggiori potenze industriali, facendola uscire dal medioevo sociale con leggi come quella sul divorzio, sull’aborto. La legge Basaglia vide la luce con un governo Andreotti. Stagioni di bombe rosse e nere dicevamo, di lotte e tensioni sociali, ma anche di leader sindacali di cui ricordiamo i nomi ancora oggi e di una coesione popolare che permise di sconfiggere il terrorismo; oggi ci azzanniamo al collo per un vaccino. Negli ultimi anni ci siamo fatti dettare la linea da un comico ma ci fanno ridere le medaglie di un generale, abbiamo digerito alleanze di ogni colore, ciascuna dall’accostamento più improbabile e stonato dell’altro e non ci sembra strano. Siamo sinceri: tutte le forze politiche che appoggiano questo governo, stanno sopportando il Presidente Draghi perché hanno bisogno che qualcuno realmente capace (e che goda di stima al di là del Brennero o di Ventimiglia) rimetta la nave a galla, consapevoli di non saper dove mettere le mani, ma contano i giorni per levarselo di torno, magari al Quirinale per salvare un po’ di rispettabilità internazionale.
Certo, è cambiato il mondo e non si torna indietro: per molti anni mi sono appassionato alla politica locale, peraltro senza scrivere il mio nome nella roccia. Ho purtroppo una età che mi permette di ricordare sezioni di partito aperte tutti i giorni, col circolo, con centinaia di iscritti che il pomeriggio passavano per commentare le notizie del giorno e magari ci scappava la partita a tresette. La domenica mattina il giro in città prevedeva, dopo la messa e prima delle tagliatelle, “un salto al partito” a vedere chi c’era. La fede politica, ricordate? Il sentirsi parte di una comunità solidale. E questo era il luogo del dibattito, a volte anche delle sedie sbattute per terra. Ve lo dico: preferivo quando dal corso (per me direzione piazza Saffi) si sentivano le urla di assemblee sempre sul punto di esplodere, all’estenuante polemica infantile e incattivita che ci infliggiamo ogni giorno sui social. E insomma: era meglio prima? Funziona meglio adesso? Come dicono in tanti, forse è solo nostalgia di quando avevamo vent’anni. Forse; ma per me se di una colpa è responsabile la politica del passato, è di averci consegnato a quella di oggi. Che non ha letto Pietro Nenni.

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