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Giulia Angeletti, una senigalliese nell'inferno di Città del Messico

3' di lettura Senigallia 20/09/2017 - Giulia Angeletti, senigalliese, vive a Città del Messico da sette anni con il compagno Adrian. Siamo riusciti a contattarla per farci raccontare la situazione nella città colpita da un devastante terremoto.

Giulia, innanzi tutto come stai?
Stiamo bene, ma è stato proprio brutto.

Raccontaci cosa è successo.
A Città del Messico un allarme avverte la popolazion circa 30 secondi prima delle scosse. Ma questo terremoto è stato molto più vicino di quelli a cui siamo abituati che hanno l'epicentro nella costa del Chapas. L'epicentro era ad appena 150Km, quindi l'allarme ha iniziato a suonare contemporaneamente alla scossa.

Io lavoro in un palazzo di 20 piani, ma fortunatamente lavoro al pian terreno e proprio in quel momento stavo uscendo per andare a pranzo, così a differenza della maggioranza delle persone che non è riuscita ad uscire dal palazzo mi sono precipitata subito in strada.

L'edificio dove mi trovavo comunque era antisismico ed i danni si sono limitati ai controsoffitti che cadevano addosso alle persone o poco più. Purtroppo non tutti i palazzi sono stati costruiti così. Sono rimasta nei pressi del palazzo per oltre due ore, in attesa di notizie. Le linee non funzionavano bene. Intanto arrivavano notizie di palazzi crollati. Il mio compagno, Adrian, con cui per fortuna sono riuscita a mettermi subito in contatto, stava bene, ma nella sua zona sono caduti alcuni palazzi.

Intorno a te cosa succedeva?
Poi ho deciso di tornare a casa, a circa 10km dal lavoro. Io ero in bicicletta, ma molti colleghi che erano in macchina hanno preferito tornare a piedi e lasciare l'auto. I trasporti pubblici erano ovviamente sospesi. Così abbiamo attraversato una parte della città a piedi. Tutte le strade erano intasate dalle persone che cercavano di tornare a casa. Alcune zone non hanno subito molti danni, solo qualche transenna intorno ad alcuni edifici per poterli controllare.

Altre zone invece la situazione purtroppo è ben diversa. Avvicinandomi a casa ho visto un paio di strade chiuse e c'erano un sacco di furgoni dell'esercito e moltissime persone. In strada c'erano tantissimi calcinacci e tanti edifici erano transennati. Più tardi abbiamo saputo che in quella strada erano caduti tre palazzi.

Sei riuscita a dare una mano?
Arrivata a casa ho potuto abbracciare Adrian. Non c'era corrente elettrica, ma con i telefonini, che anche se male comunque continuavano a funzionare, siamo riusciti a sapere che potevamo essere utili nella strada che avevo percorso poco prima. Abbiamo preparato acqua e qualcosa da mangiare in scatola per la gente che stava aiutando e siamo andati in bici fino a là. Volvamo aiutare, ma c'era già così tanta gente che è stato impossibile.
Una strada intera di persone che stavano facendo una catena umana, da un lato stavano trasportando viveri e dall'altra portavano via calcinacci.Vedendo che non potevamo fare niente siamo tornati a casa al buio, seguendo le notizie con i telefonini. Poi ci siamo addormentati.
Questa mattina è tornata la luce e internet funziona.

Dall'Italia come possiamo aiutare?
Credo che l'unico modo sia una raccolta di fondi. Ma la cosa è troppo recente perché si sia organizzato un canale specifico. Meglio per il momento rivolgersi ai canali istituzionali. Appena saprò qualcosa di più preciso vi avvertrirò.






Questo è un articolo pubblicato il 20-09-2017 alle 14:57 sul giornale del 21 settembre 2017 - 7488 letture

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