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comunicato stampa
NeT aT wOrK. Come raccontare il nostro Territorio

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Continuiamo le nostre interviste sulle Reti Turistiche, coinvolgendo stavolta il Prof Massimo Bellucci, attivo esponente dell'associazionismo culturale, con il quale cercheremo di capire come e soprattutto con chi il binomio Turismo/Cultura possa essere espresso sul nostro territorio.

Massimo, dammi una tua definizione del binomio turismo/cultura
Le nostre terre marchigiane sono un enorme spazio della cultura, terre su cui hanno camminato greci e romani, piceni e galli, su cui ha camminato San Francesco e S. Maria Goretti da bambina.
Antiche battaglie e cultura moderna. E tanto altro. Storie di pescatori, di contadini, il barcone, la trebbia, i pranzi sotto la quercia grande. Di tutto ciò restano tracce visibili e vibrazioni percepibili. Sono tante le possibili iniziative culturali. Ma le iniziative culturali non devono essere pensate ad uso e consumo dei turisti, ma dei cittadini in generale, in primo luogo i residenti. Un luogo dove si sta bene, dove ci sono servizi efficienti, dove c’è una cultura dinamica, è ottimale in primo luogo per chi ci abita, poi diventa attrattivo anche per i turisti. Qualche anno fa sono stato a Norcia, ho visitato i luoghi benedettini, mangiato i piatti tipici, ho fatto turismo culturale, religioso o enogastronomico. Forse queste distinzioni non hanno più significato.

Come una comunità locale potrebbe essere coinvolta in un percorso partecipativo che declini tale binomio.
Attraverso il protagonismo dei cittadini, a partire dai giovani, le amministrazioni locali possono fare molto in tal senso, ad esempio attraverso politiche giovanili efficaci, che puntino ad esempio a promuovere un reale diritto alla casa, stimolando i giovani ad andare ad abitare nei centri storici, rendendoli attraenti e interessanti per viverci. Il centro storico di un piccolo comune, spesso uno scrigno di storie e saperi, non deve essere concepito come un bel monumento da contemplare per i visitatori, ma un luogo buono per viverci, per progettare il futuro e per partecipare al rilancio di tutto il territorio, sia urbano che rurale. Sono semplici accenni di un percorso partecipativo che può partire da questo per estendersi ad una nuova idea di agricoltura, settore nel quale sempre più giovani sono impiegati.

Fare rete nel turismo è complicato, se dovessi suggerire alcuni passi iniziali…
Il primo passo è smettere di chiamare rete ciò che non lo è. In molti ambiti, politiche turistiche, giovanili, sociali, si parla sempre di rete, ma io non ne vedo in giro. Rete non è mettere tutti gli eventi estivi di più comuni in un unico depliant, non è fare un incontro chiedendo di proporre qualcosa o mandare una mail per fare una serata a tema. Prendiamo atto che lavorare in rete è una cosa che ancora non sappiamo fare bene. E che dobbiamo imparare, con umiltà. I contadini mezzadri di 80 anni fa erano gelosi e orgogliosi del proprio podere, ma per le grandi faccende si mettevano insieme tra vicini, si aiutavano, lavoravano in squadra. Loro l’avevano capito, e noi?

Come vedi possibile l’integrazione dell’offerta turistica tra le zone costiere e le zone rurali?
Chi abita nelle nostre colline ha il quotidiano privilegio di vedere le montagne e, girando appena lo sguardo, di vedere il mare. Dieci minuti di macchina e siamo al mare, venti e siamo in montagna; la diversità di questo territorio è la sua ricchezza, credo che vada dato ai visitatori il massimo ventaglio di possibilità, un territorio plurale è più ricco e più attrattivo. Territori così vicini devono muoversi insieme, cominciando a fidarsi di più dei propri vicini.

Commenta la frase: oggi saper narrare un territorio è doveroso ma implica competenza.
Oggi spesso ai turisti vengono offerte informazioni: ristoranti aperti, caratteristiche degli edifici storici, ma questo servizio credo sia sempre meno utile, le informazioni si trovano in molti casi già su internet. Per questo anche l’idea di IAT forse è superata, almeno così come viene concepita tutt’oggi nei piccoli comuni. Il cosiddetto ufficio turistico, spesso costoso, così com’è, serve ancora? Ciò che serve è qualcosa di diverso: un racconto del nostro territorio. Innanzitutto, per narrare bene una storia, questa deve piacere a chi la narra, ci deve essere il gusto nel raccontarla. E non servono tanto le competenze “tecniche”; certo serve saper maneggiare i diversi linguaggi: scrittura, audiovisivi, social, ecc. Ma quello che serve è soprattutto il saper dialogare con figure diverse: il giovane che ha aperto una enoteca in centro, il cultore di storia locale, l’anziano che è vissuto sempre in quel luogo e ha tante storie da raccontare, l’architetto che sa leggere il paesaggio, il naturalista. Chi riesce a mettere insieme queste figure saprà costruire un bel racconto. E farà un bel regalo ai propri luoghi.