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Pakistana rapita dal padre: un dramma dell\' \'anti-integrazione\'


Akatar Mahmood, il pakistano che ha rapito la figlia di 17 anni all\'uscita da scuola ieri mattina, era purtroppo conosciuto anche dai servizi sociali del Comune di Senigallia. Nell\'aprile scorso infatti la giovane Almas era stata ricoverata per alcuni giorni all\'ospedale di Senigallia a seguito di varie ferite riportate alla testa e al volto. La ragazza era stata picchiata dal padre durante una delle tante sfuriate che l\'uomo era solito fare. Akatar non poteva tollerare che la figlia avesse uno stile di vita non mussulmano, che frequentasse coetanei italiani, che avesse amici senigalliesi e pare anche un fidanzatino. L\'uomo più volte aveva usato anche parole forti nei confronti della figlia fino ad arrivare (secondo quanto emerso in sede processuale) a minacciarla di morte se non si fosse adeguata allo stile di vita da lui imposto.
L\'uomo pretendeva che la giovane frequentasse e coltivasse solo amicizie di nazionalità pakistana e comunque tutte dovevano sottostare preventivamente alla sua approvazione. Una versione dei fatti di cui il Tribunale dei Minori di Ancona tenne conto quando, subito dopo la denuncia partita dall\'Asur di Senigallia, decretò per l\'immediato allontanamento della ragazza della famiglia. I servizi sociali del Comune eseguirono l\'ordinanza del Tribunale che stabilì che ad occuparsi della giovane fosse proprio il centro di accoglienza per minori in difficoltà di Fano. Akatar però quella sentenza non l\'ha mai accettata né tanto meno quella della Corte d\'Appello, dove aveva fatto ricorso, che confermò la decisione di non far tornare a casa la ragazza. In quella sede la figlia, che cercò in parte di smorzare i toni del suo dramma familiare, ribadì comunque di non voler più tornare a casa. E la Corte d\'Appello le diede ragione.
Dall\'estate scorsa il padre, che vive con la moglie in un\'abitazione in via Molino Marazzana, nei pressi della frazione di Brugnetto, non si era dato pace. Spesso era tornato in Comune, ai servizi sociali, dicendosi “esasperato” per la situazione non comprendendo in alcun modo le ragioni della decisione del Tribunale dei Minori. Proprio giovedì scorso l\'ultima scenata. Per l\'ennesima volta si era rivolto al Comune pretendendo che la figlia le fosse “restituita” minacciando altrimenti di “andarsela a riprendere”. Cosa che, a quanto pare, ieri ha fatto.
Gli investigatori, che presidiano l\'abitazione (ovviamente vuota della famiglia) temono ora per le sorti di Almas. Non si possono non ricordare infatti le tragedie di Hina e Sanaa. In provincia di Brescia nell\'agosto del 2006 un padre, di nazionalità pakistana, uccise a coltellate e seppellì nel giardino di casa la figlia, Hina Saleem, allora 20enne, perchè conviveva con un italiano. E ancora, Sana Dafani, la 18enne di Montereale Valcellina, in provincia di Pordenone, sgozzata lo scorso settembre in boschetto dal padre, di nazionalità marocchina, che non accettava la relazione della figlia con un italiano.
