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Sacelit, le ipotesi dell’evoluzione urbana: 6° parte, Portoghesi progetto bello ma inadeguato

8' di lettura Senigallia 26/10/2008 - Nell’ottobre del 2007 l’area Sacelit, con il piano d’area approvato, passa di mano dalla società Vecchia Darsena al costruttore Lanari, che ne affida il progetto all’architetto Portoghesi. Durante la presentazione della proposta d’intervento alla giunta, il sindaco dichiara che è in atto il più grande progetto di trasformazione urbana dopo l’ampliamento settecentesco.

Senigallia sta effettivamente attraversando il suo più importante periodo storico, per l’ampio e contestuale ventaglio di progetti epocali, che stanno prendendo forma e che potrebbero tradursi in eccellenze tali da farla diventare, a pieno titolo, la capitale italiana del turismo rivierasco e non solo. L’uso del condizionale, non è casuale, perché la sfida è aperta, ma bisogna concorrere con chi oggi ci sta davanti e con chi sta lavorando bene nella ricerca di nuove strategie. E’una partita che si gioca sulla capacità di intuire, adeguarsi e rincorrere un turismo versatile e complesso che, con una rapidità inimmaginabile solo fino a pochi anni addietro, cambia, si diversifica, si evolve e si trasforma. E Senigallia possiede potenzialità uniche e staordinarie, potendo adattare, per ogni nuova forma di turismo, una specifica “tipicità” di spiaggia che solo un litorale di 14 chilometri può concedere, ma è nella sua qualità ambientale, paesaggistica, storica, culturale, commerciale, enogastronomica e del tempo libero in generale, che sfrutta l’identità dell’urbanità a misura d’uomo e dell’elevata qualità della vita, motori ideali per sviluppare ulteriori energie per mantenere e migliorare il piacere di vivere nella città bella, viziati e cullati, dalla ricchezza monumentale, dalla naturalità e dalla effervescente vitalità espressa dalle tante manifestazioni e dai grandi eventi.




Una buona qualità urbana fa poi da termometro e catalizzatore dello sviluppo economico, è per questo che non è consentito sbagliare, né compromettere e sciupare il nuovo patrimonio che si cerca di costruire per tramandare alle generazioni che verranno. Ogni intervento, che andrà a disegnare la città del futuro, dovrà nascere da un’idea univoca, sviluppabile anche in periodi diversi, ma sempre e comunque ricomponibile in modo congruente. E’ ciò che purtroppo non sta avvenendo per la Sacelit, il porto e il centro storico, dove si rischia di pagare un prezzo inaccettabile per le conseguenze della mancata pianificazione e bisogna intervenire, in fretta e con decisione, per apporre rimedi e correzioni ad un planning generale deficitario, che nello specifico degli elaborati di Portoghesi e Piscitelli si è tradotto, ma non per loro colpa, in un progetto di notevole qualità artistica, ma non architettonica, bello, ma non funzionale, godibile per i futuri residenti, ma inospitale ed estraneo per gli esterni, rappresentativo della più bella periferia urbana, che per questo motivo, avrebbe potuto però essere collocato in qualsiasi altra parte della città.




In questo modo Senigallia è derubata dello spazio più importante, che è naturalmente vocato ad ampliare la nuova centralità urbana attorno ad un nuovo baricentro, identificato dalla piazza d’acqua, rappresentata dalla darsena Bixio con un nuovo contorno, perfetto innesto e convergenza radiale dei lungomari di levante, di ponente e del centro storico che qui vanno a saldarsi, integrandosi in una aperta, amena e libera dilatazione spaziale, ideale alla sosta e all’aggregazione. Ma l’appartenenza della piazza alla città è tanto più forte, quanto più essa è penetrabile, anche solo visivamente, basti immaginare quale orizzonte visivo straordinario si aprirebbe, per chi transita sulla statale, abbattendo il dismesso cantiere SEP, senza nulla ripristinarvi, che non sia giardino o parcheggio a raso e quale barriera verrebbe rimossa con la demolizione della cortina delle vecchie abitazioni in linea prospettanti la darsena e di proprietà dello stesso soggetto attuatore. E’ questo il più grande spazio, in assoluto, recuperabile all’interno della città e può essere incredibilmente esteso elevando artificialmente la quota, di gran parte del terreno degli ex stabilimenti industriali, di circa 5 metri con un terrazzo aperto al mare, custode di parcheggi invisibili e di indispensabili locali pubblici e servizi e dove si può appoggiare il nuovo intervento della Sacelit, componendo un grande water front portuale degno della “grandeur” parigina E’ ciò che manca al deficitario progetto Portoghesi, slegato dal contesto e isolato, occluso, incassato prigioniero e compresso al livello del terreno, da dove da nessun punto è visibile il mare.




Mai la città ha pensato a costruire il suo water front del porto, snobbando l’opportunità di poter cambiare il suo destino, con la “tipicità” di mare, centralità urbana, e fiume che si fondono. Serve ampliare ulteriormente il porto, almeno a livello progettuale, perché diventi attrattore formidabile di un qualificato mercato ricettivo più esteso e di un turismo ricco ed elitario, oggi praticamente inesistente. La fotografia della situazione progettuale in corso ci mostra una previsione che non risponde alle esigenze di Senigallia e la città ha il dovere morale di ridiscutere e impedire l’attuazione di un progetto sbagliato, anche se si va a danneggiare l’incolpevole soggetto attuatore, legittimato ad iniziare l’intervento. Le responsabilità di un risultato scadente sono fondamentalmente politiche e rappresentano un pessimo risultato di faticosi compromessi partoriti, più che dalla logica, da inossidabili dogmi stornati dai kit di filosofie vecchie e superate, tradotte poi nel piano d’area. Parte delle colpe partono anche da più lontano e sono attribuibili al vecchio piano regolatore che, definendo bassi indici di edificabilità, si è scontrato con le teorie più moderne, che, al contrario, nelle zone centrali, privilegiano invece densità decisamente più alte, per contrastare l’uso dell’auto creando, a parità di popolazione, nuclei meno estesi, più idonei a favorire la mobilità lenta. (all’interno di raggi di 700-1000 metri, che contengono tutto il nostro centro storico, l’area portuale, la Sacelit, la zona stadio, la penna con parte di via Podesti, il lungomare Marconi, lo stadio e il quartiere porto, il modo più conveniente di spostarsi è andando a piedi o in bicicletta).




La città non rischia solo di raggiungere obiettivi scadenti, ma anche di dover sobbarcarsi il pesante onere dell’acquisizione di alcuni spazi pubblici (es. museo Giacomelli non contemplato come urbanizzazione nel piano d’area). E’ proprio, partendo da queste osservazioni, che va ricercato il meccanismo che può ricomporre la questione, attraverso una tregua politica, con un dichiarato sostegno bipartisan, completo e solidale, a un importante intervento di correzione che necessita di equilibrismi notevoli. La soluzione sta nel rendere compatili le esigenze del soggetto attuatore che non ha interesse a subire ritardi e la necessità di tempi ulteriori per variare strumenti attuativi e progetto. Tecnicamente bisogna predisporre un nuovo progetto flessibile, adattabile tanto al piano d’area approvato, quanto ad una variante urbanistica che definisca nuovi parametri, su cui negoziare, in contropartita di nuove ulteriori volumetrie, altre opere pubbliche per la città con anche la possibilità di acquisire spazi importanti, da aggiungere al patrimonio, senza esborso di danaro. L’obiettivo primario sarà comunque quello di ottenere la migliore integrazione possibile con la nuova centralità urbana.




In questo modo si obbliga l’amministrazione a rincorrere un intervento che può partire e la si mette nella condizione di poterlo modificare qualitativamente se dimostrerà tempestività e capacità di modificare le regole prima del suo completamento. I nuovi input che dovranno necessariamente entrare nel gioco fondamentalmente sono l’estensione ulteriore del porto (anche solo a livello progettuale), l’eliminazione della darsena prevista a lato di via Mameli al posto del cantiere navalmeccanico che rischia di soffocare l’intero porto, l’eliminazione del cantiere SEP senza ricostruzione, la dotazione di ulteriori parcheggi ancora insufficienti, la cancellazione dell’orrendo svincolo a trombetta di collegamento alla statale, da sostituire con una soluzione più funzionale e più gradevole esteticamente, il collegamento tra i lungomari, prolungati sui loro assi, non con passerelle mobili, ma con un ponte monumentale fisso carrabile, con affiancate al lato mare passeggiata e pista ciclabile, l’eliminazione della cortina delle case in linea antistanti la darsena Bixio, la previsione della nuova grande terrazza sopraelevata, dove teoricamente si potrebbe anche appoggiare l’attuale progetto Portoghesi così com’è, liberandolo dalla sua condizione di soffocamento,l’organizzazione della mobilità carrabile per tutte le direzioni e quella sia dei percorsi ciclopedonali che delle passeggiate con particolare riguardo a quelli di collegamento con il centro storico. In questo contesto non sarebbe inoltre sbagliato pensare al lato di via Mameli libero da utilizzare con negozi o locali tipo “Viale Ceccarini”.




Solo così ci sarà la certezza di non aver trascurato nulla per incidere su un livello di eccellenza, alternativo alla banalità, liberatorio dell’immensa spazialità a forma di imbuto, o, se si preferisce, più somigliante ad un cuore pulsante che mantiene vitale la città, percepibile osservando la città dall’alto, a volo d’uccello, con il termine astratto del porto in piazza Roma. Nelle illustrazioni che seguono si vedono : Uno schizzo prospettico provocatorio di 10 anni fa che risalta la spazialità pubblica, pur con un indice circa 4 volte superiore all’attuale. Una planimetria con uno schema simile sopra la terrazza. Il progetto Portoghesi chiuso dal perimetro degli ex stabilimenti.








Questo è un articolo pubblicato il 26-10-2008 alle 01:01 sul giornale del 27 ottobre 2008 - 6380 letture

In questo articolo si parla di porto, attualità, sacelit, Paolo Landi





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