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culture migranti: Charlotte, nei miei confronti c'è stata più tolleranza
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Charlotte viene dalla Svezia, paese che è solito accogliere gli immigrati. “Mi è capitato spesso che delle persone mi chiedessero se ero ucraina o albanese, e quando dicevo loro che ero svedese, il loro comportamento nei miei confronti era diverso, più disponibile”. |
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di Giulia Angeletti
Era il lontano 1979 quando Charlotte arriva in Sicilia, per passare due settimane di vacanza, prima di partire per l’America, dove aveva un contratto di lavoro come hostess. Qui però incontra il suo futuro marito, e la sua vita cambia direzione.“In Svezia siamo in pochi, 9 milioni. Di solito diamo lavoro agli altri, non c’è disoccupazione. Da noi non ci sono clandestini, l’immigrazione è molto più controllata: gli immigrati hanno diritti e doveri, e uno dei primi è quello della lingua. Ci sono corsi di lingua gratuiti e obbligatori per tutti. Ci sono molte persone che vengono dalla Turchia, dall’Afghanistan, dal nord Africa”.
“Allora la Svezia era molto avanti in fatto di civiltà sociale, e di educazione civica. Noi è una vita che abbiamo la settimana corta a scuola, libri di testo gratuiti, assistenza medico-sanitaria, medicine fornite dallo stato. Ora il divario è sicuramente diminuito, ma prima si sentiva molto. Ora poi la Svezia sta diventando più meticcia, si è aperta molto alle altre culture”.
Dalla Sicilia, Charlotte e il marito approdano a Milano. Poi con la nascita del secondo figlio decidono di abbandonare la vita di una grande metropoli: “Siamo emigrati per scelta, Milano non è vivibile per una famiglia. Abbiamo allora preso la cartina e ci siamo messi ad analizzare bene il centro Italia, che era la zona che ci sembrava più tranquilla. Così abbiamo scelto le Marche un po’ per caso”.
Sono stati per un po’ a Recanati, e sono arrivati infine a Senigallia. Charlotte, che parla correttamente 3 lingue (svedese, italiano e inglese), e se la cava bene in francese, tedesco e spagnolo, ha spesso fatto dei corsi di lingua pomeridiani. Ora lavora al pronto soccorso come mediatrice linguistica, affrontando anche casi delicati, in cui oltre la lingua c’è da mediare due culture che affrontano il tema del corpo in maniera differente.
“Ho sempre avuto molte amiche straniere. Quando stavo a Recanati avevo organizzato un gruppo di donne straniere e donne italiane. Ogni settimana ci incontravamo tutte quante in un centro sociale, e ognuna di noi a turno doveva portare un piatto tipico della propria cucina, e parlare della propria cultura. Era una cosa molto bella per conoscersi e per conoscere altri modi di vita che di solito facciamo più difficoltà a comprendere”.
“A casa mia cerco di manifestare le mie origini, senza imporle agli altri. Come svedese all’inizio ho dovuto combattere contro alcuni pregiudizi. C’era l’immagine della donna svedese come una valkiria. Questa è stata la mia esperienza, ma vedo che in generale è sempre comodo pensare per preconcetti, si tende a generalizzare troppo, e quando ci sono dei problemi si usa trovare un capro espiatorio”.


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