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Caritas: accoglienza senza buonismo

4' di lettura Senigallia 30/11/-0001 -
Nuovi sbarchi, nuove tragedie sulle nostre coste, ma anche nuovi episodi di esecrabile efferatezza che seminano morte e insicurezza nelle nostre città.

da Caritas Italiana


Con la sensazione che si rincorra sempre l’ultima carretta di disperati, o si cavalchi l’ultima violenza, mentre invece è essenziale governare il fenomeno con politiche coordinate. Anche la nostra città e i nostri paesi non sono esenti da questo sentimento di insicurezza, soprattutto nelle zone dove c’è maggiore concentrazione di stranieri. Il tema della sicurezza oggi è diventato strumento politico, divide i poli ed è quello sul quale si possono contare i voti.

La Caritas e il mondo cattolico in generale hanno sempre affrontato la questione tenendo insieme l'accoglienza doverosa con la sicurezza e ragionando in questi termini su immigrazione e nomadi. È facile dunque accusare di accoglienza buonista chi ha parlato di accoglienza da molti anni con attenzione al territorio e spesso con azioni di supplenza. Il mondo cattolico non ha mai parlato di accoglienza buonista, abbiamo invece cercato, anche a livello locale collaborazione con gli enti locali e le forze dell’ordine, con l’obiettivo generale di far sedere allo stesso tavolo tutte le componenti interessate alla soluzione del problema. Basti ricordare ad esempio che già dagli anni '80 le Caritas diocesane si sono occupate della questione nomadi, dei problemi che comportava nel tessuto urbano, dei campi sosta e via dicendo, chiedendo che il fenomeno fosse governato, mentre invece è mancata una politica nazionale su questo tema. Tutto questo in un contesto in cui cambiava il modo di vivere e di lavorare nelle nostre città.

Il decreto sulle espulsioni è un primo passo per affrontare il nodo sicurezza, ma sui sindaci sceriffi manteniamo le nostre riserve. La gente ha paura perché ci sono territori nelle città lasciate allo stato brado e sembra che solo oggi, dopo la tragedia di Roma, lo si venga a sapere. Inquieta il fatto che alcuni sindaci scoprano improvvisamente il lato oscuro dell'immigrazione e pensino che la repressione sia la soluzione a situazione di degrado che esistono da anni. Perché non si mette la stessa ostinazione anche nell'organizzazione dei servizi, nell'accoglienza, nell'accompagnamento delle persone, in azioni di integrazioni che servono a prevenire la violenza? Noi dobbiamo evitare che quella dell'immigrato sia una presenza che incute paura, reprimendo le frange criminali, ma senza generalizzare e senza mettere in soffitta il resto, cioè indicando percorsi formativi e culturali che aiutino a superarle.

"Sarebbe sufficiente cercare di valorizzare la nostra antica tradizione di accoglienza - ha infatti detto il cardinale Tarcisio Bertone - e nello stesso tempo essere fermi con coloro che si rendono protagonisti di reati, non accettano i criteri di cittadinanza tipici di un paese democratico e non accettano le regole fondamentali della convivenza". Il segretario di Stato ha così ribadito la vocazione primordiale della Chiesa a tendere le braccia verso chiunque si trovi in difficoltà e chieda soccorso. E lo fa nello spirito di quell'alta civiltà morale, come ha ribadito il Papa, che è proprio il frutto dei "valori culturali e spirituali di ogni popolo e paese". Quali scenari? L’avvicinarsi del 2008, Anno europeo per il dialogo interculturale, è occasione opportuna per comprendere che non si tratta solo di decidere su procedure riguardanti l’ingresso, il soggiorno, il mercato occupazionale, ma anche di concordare obiettivi validi per una società multiculturale e multietnica. Proprio all’Anno europeo per l’intercultura è dedicato il XVII Dossier Statistico Caritas-Migrantes sull’immigrazione. Secondo la stima del Dossier, alla fine del 2006 gli stranieri soggiornanti in Italia erano 3.690.052, con un aumento del 21,6% rispetto all’anno precedente e con un’incidenza del 6,2% sulla popolazione complessiva.

L’Italia, insieme alla Spagna, si colloca così tra i più grandi Paesi di immigrazione dell’Unione Europea, subito dopo la Germania. Una presenza ormai strutturale - con un aumento di donne bambini e famiglie - e a tutto campo, con un’incidenza intorno al 10% nelle grandi città come Roma e Milano, ma in crescita anche nei piccoli centri dove le relazioni sono spesso più agevoli e il costo della vita meno proibitivo. Di fronte alla presenza di volti nuovi, che portano dietro storie, etnie, culture, religioni diverse dalla nostra, come orientarci? Coniugare insieme accoglienza, legalità, testimonianza, dialogo e annuncio sembra essere l’imperativo dei prossimi anni. L’immigrato è ancora oggi una presenza che incute paura, alimentata anche da frange criminali che purtroppo inducono a generalizzare. Dobbiamo pertanto tagliare le radici di queste paure e, creativamente, indicare azioni e percorsi educativi, culturali, formativi e promozionali per aggredirle e superarle.





Questo è un articolo pubblicato il 30-11--0001 alle 00:00 sul giornale del 07 novembre 2007 - 1672 letture

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