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culture migranti: Ettore: Senigallia mezza ebrea e mezza canaja

4' di lettura Senigallia 30/11/-0001 -
Gli ebrei sono italiani a tutti gli effetti, la loro presenza nel nostro paese data a 2.300 anni fa, quando sotto l’impero romano i primi ebrei giunsero a Roma dalla Galilea. Il fatto di presentare Ettore Cohen, ebreo senigalliese, all’interno di questa rubrica di migranti, non significa dire che gli ebrei sono degli stranieri, ma va letta come presentazione di una cultura religiosa diversa da quella cristiana che ha avuto molta importanza per la storia della nostra città.

di Giulia Angeletti


Si dice che i veri romani a Roma siano gli ebrei” ci dice Ettore, sottolineando come gli ebrei siano degli italiani a pieno titolo. Nel 70 d.C. Gerusalemme fu distrutta, e gli ebrei si dispersero in Europa e in Africa, molti di loro giunsero a Roma, dove ad aspettarli c'erano già molti altri ebrei, visto che la Galilea era già stata fatta provincia romana da quasi quattro secoli. Come gli altri popoli conquistati, anche gli ebrei furono portati a Roma, ma a differenza degli altri popoli, gli ebrei seppero mantenere la propria identità nei secoli.

Ettore è rimasto uno dei pochi rappresentanti della comunità ebrea di Senigallia, che ora conta una ventina di persone, comunità ridotta al minimo da eventi storici drammatici come la Shoa. Durante la seconda guerra mondiale anche la famiglia di Ettore ha subito lutti: una zia e 3 cugini in tenera età sono stati deportati, alcuni parenti si sono rifugiati in campi profughi in Svizzera, mentre la madre si è nascosta da un prete nel maceratese.

La famiglia di Ettore possedeva dagli anni ’20 un negozio lungo il corso di Senigallia, che durante la guerra dovette cedere ad un prestanome con una finta vendita, per evitarne la confisca come prescritto dalle leggi razziali del ’38, che tra le altre cose vietavano agli ebrei di frequentare le scuole pubbliche, avere incarichi nello stato, e molte limitazioni quotidiane.

La presenza ebrea a Senigallia è stata molto importante nei secoli passati.
Sotto il dominio dei Malatesta febbri malariche nella zona delle saline avevano ridotto sensibilmente la popolazione senigalliese, e iniziò la decadenza della cittadina. Fu decisa allora un’opera di ripopolamento, e vennero attirate molte persone che avevano conti in sospeso con la giustizia (la canaja) con la promessa di un’amnistia, e molti ebrei con la promessa di agevolazioni per i commerci.

Nel 1753 gli ebrei residenti a Senigallia erano circa 650, ben oltre il 10% della popolazione. In tempi di fiera franca il loro numero aumentava sensibilmente, fino a 1000 presenze, attirando molti commercianti, che non dovevano pagare i dazi sulle merci.
Dal 1555 lo stato pontificio obbligò gli ebrei a risiedere in ghetti, e a Senigallia quest’obbligo si estese nel 1633 quando la città passo dal ducato di Urbino allo stato pontificio.

Il ghetto di Senigallia si trovava nei pressi di piazza Simoncelli, ed era chiuso da 3/4 cancelli. Se si pensa che il ghetto di Roma aveva 7 cancelli, si capisce bene quanto sia stato grosso il ghetto di Senigallia. I cancelli venivano chiusi di notte e durante le maggiori feste cristiane.
Nel 1799 gli ebrei senigalliesi pagarono a caro prezzo la simpatia per le truppe napoleoniche, e il ghetto fu assaltato e saccheggiato, vennero uccise 13 persone, e il resto fuggì via mare. Da allora la comunità senigalliese ebraica terminò di fatto.
Nel 1848 dopo l’elezione di papa Pio IX si iniziò l’abbattimento delle case del ghetto.

Oggi a Senigallia rimane una sinagoga funzionante, che è aperta in concomitanza delle maggiori feste ebraiche. La sinagoga è innanzi tutto un luogo di preghiera, ma è anche un luogo di studio e di incontro. Le festività più importanti sono lo Rosh Hashana, il capodanno ebraico; la festa dello Yom Kippur, giorno di digiuno e di espiazione; la Hannuka, la festa delle luci; la Pesah, che ricorda la fuga in Egitto, e il Sukkot, la festa delle capanne.

Nella vita quotidiana la festa più importante per un ebreo è il sabato. Poi ci sono tutta una serie di norme igenico-sanitarie chiamate Kascherut, che impongono una precisa macellazione delle carni, e il divieto di alcuni cibi.
Come ci spiega Ettore, un ebreo osservante a Senigallia può solo evitare alcuni cibi, ma non è in grado di rispettare pienamente il Kascherut, motivo per il quale ebrei ortodossi a Senigallia non ci saranno mai.





Questo è un articolo pubblicato il 30-11--0001 alle 00:00 sul giornale del 26 aprile 2007 - 15292 letture

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