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Mezza Canaja: proiezione del film Garage Olimpo
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Prosegue al Centro sociale autogestito Mezza Canaja, presso i locali delle ex colonie Enel, la rassegna cinematografica "Te lo faccio vedere io!". Giovedì 4 gennaio alle ore 21.30 sarà la volta di Garage Olimpo di Marco Bechis. |
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dal Csa Mezza Canaja
Ci sono film che nascono dalla disperazione, altri generati dalla rabbia, altri ancora memori di un'esperienza condivisa. Quello che li accumuna è la sincerità e la consapevolezza di voler parlare di sè stessi agli altri, la necessità di assumere e di mantenere una posizione lucida e profonda.
Lontano dalle atmosfere dal suo precedente lavoro (Alambrado) il film di Bechis, opera numero due di una breve ma significativa filmografia (all'attivo solo tre film,oltre a svariate sceneggiature), vanta la non indifferente capacità di tenere in continua tensione due corde fra loro parallele.Da un lato una prospettiva strettamente filmica che oltrepassa il meccanismo fondativo dell'inquadratura -inclusione ed esclusione (cioè la scelta di ciò che l'autore decide o meno di delimitare) - per mettere in evidenza gli spazi ricavati da una tragedia nazionale e personale (il regista riuscì infatti a scampare all'esperienza repressiva del regime argentino); dall'altro una lezione quasi rosselliniana sullo sguardo e sulla sua posizione morale.
Si tratta di momenti di scambio e di compenetrazione tra due reciprocità che mettono in crisi quella falsa dicotomia tra forma e sostanza, tra etica ed estetica (e,perchè no,tra innovazione e tradizione): due dimensioni che spesso (purtroppo) esistono e trovano un punto fermo soltanto nelle loro declinazioni estreme. La radicalità della macchina da presa indaga così sui corpi e sulla superficie, ora impassibile (l'utilizzo della panoramica) ora frenetica (mediante la camera a mano), con una capacità di creare senso di necessaria angoscia laddove molti altri film sull'argomento non si erano spinti (tranne che nel massimo capolavoro concentrazionario -ed uno dei film più significativi della modernità cinematografica- La passeggera di Andrzej Munk).
Mostrare inoltre una dimensione ordinaria del dolore, costringendo la Storia a poco a poco a contrarsi -lasciando spazio alle storie- per poi ricomparire solo alla fine, sebbene mediata dall'attualità e dalla semplicità dei gesti (in questo caso anche una anonima passeggiata per le strade può diventare un esempio di tortura controllata), costringe a chiedersi se possiamo o meno parlare di un'estetica del male.

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