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culture migranti: Vincenzina: la Calabria terra del cuore, Senigallia terra di libertà

4' di lettura Senigallia 30/11/-0001 -
I genitori di Vincenzina sono originari di Calopezzati, un paesino in provincia di Cosenza. Il padre è venuto a Senigallia alla fine degli anni ’40 lavorando in Polizia e si è portato dietro la giovane moglie. Vincenzina è nata e cresciuta a Senigallia, ma ha ricevuto un’educazione “calabrese”, che a volte le andava stretta.

di Giulia Angeletti


Calopezzati, che in greco vuol dire “bel posto”, è un paesino sulla costa ionica. Come altri paesi della Calabria, anche da Calopezzati molte persone emigrano per trovare la tranquillità economica altrove. Il padre di Vincenzina, tra fare l’operaio a Torino, in Germania, oppure tentare la carriera militare, ha scelta la carriera militare, che lo ha fatto viaggiare un po' ovunque e infine lo ha portato a Senigallia passando dall'Esercito alla Polizia.

Allora erano molte le differenze tra quel paesino della Calabria e Senigallia. La casa della nonna non aveva il gabinetto, e non c’era l’acqua. In paese c’erano due fonti, e ogni giorno si doveva andare a prendere l’acqua con l’asino. Non c’era nemmeno la luce, e le candele di cera erano scarse: ci si arrangiava facendo artigianalmente dei lumini ad olio.
Mentre a Senigallia i colleghi del padre di Vincenzina si compravano macchine nuove, laggiù in Calabria ci si muoveva ancora a bordo di un asino.

In Calabria è molto sviluppata l’agricoltura. Si coltivano soprattutto viti, olivi, arance e pomodori. Un tempo il problema era la presenza di grandi latifondi che non sempre utilizzavano al meglio la terra. Poi però questi grandi proprietari terrieri non hanno saputo evolversi con le esigenze del mercato. Oggi questi possedimenti sono stati spezzettati e rivenduti ai contadini, che producono per il loro consumo, e vendono le eccedenze sul mercato.
La Calabria è anche la terra dei peperoni, e molto rinomata è la cipolla di tropea. Prodotti di prestigio che vengono esportati in tutta Europa.

Molti calabresi hanno preso la strada dell’emigrazione, ma alcuni sono rimasti. Per esempio Vincenzina ha due cugini che si sono rifiutati di emigrare e hanno cercato di sviluppare le poche risorse che avevano a loro disposizione. Un cugino è diventato apicoltore dopo aver frequentato un corso a Bologna, e ha messo su un’azienda che va molto bene. L’altro, dopo essersi perfezionato all’estero, ha aperto un laboratorio di salumi.

Per la piccola Vincenzina andare in Calabria era sempre una vacanza, perché quella era per lei la terra dell’affetto. Ama la Calabria perché è una terra bellissima, piena di persone positive che lottano per vivere in una terra arida senza acqua. Anche se il terreno è scosceso, Vincenzina racconta di orti bellissimi, che sembrano nati dal nulla.

Per il padre di Vincenzina non ci sono mai stati problemi ad inserirsi: aveva molti amici, e stava bene a Senigallia. A lui non piaceva tornare in Calabria perché voleva dire tornare nella povertà e nella sofferenza. Invece la madre non ha saputo allacciare rapporti e uscire da quella educazione meridionale che vuole le donne chiuse in casa che uscivano soltanto per far visita a qualche parente.
La madre ha insegnato a Vincenzina le abitudini, la cultura e la cucina calabrese. Ad esempio ad ogni festa era associato un piatto tipico che si preparava ogni anno tutti insieme. Aver fatto questo piatto voleva dire che le cose andavano bene, e avevi avuto la possibilità di rispettare la tradizione. A natale era la volta della “pasta confetti” un dolce simile alla nostra cicerchiata.

L’educazione calabrese ha però pesato un po’ su Vincenzina. Ricorda che quando era piccola tutte le sue compagne di classe uscivano ai giardinetti per giocare, mentre lei doveva rimanere in casa a fare le faccende. Ha avuto sempre poche amicizie quando abitava con i genitori, e poca libertà.
Ed è così che al momento della scelta universitaria se ne è andata a Torino, per spezzare la rigidità e chiusura della vita familiare.

Come calabresi, Vincenzina e la sua famiglia hanno subito un po’ di razzismo, “ti facevano sentire diverso, ma niente di pesante” dice lei. Quando tutte le famiglie si riunivano da qualche parte per guardare la televisione loro capivano che non erano i bene accolti. Ed anche a scuola da parte di alcuni professori e compagni di classe ha sentito di essere messa un po’ da parte e presa in giro per come parlava.

Ti senti un po’ sempre diverso. Non prendere la pronuncia del posto, e mantenere comunque la tua identità, ti fa sentire diverso e insieme un po’ speciale” dice Vincenzina, convinta che nella diversità ci sia prima di tutto arricchimento, e possibilità di aprire gli occhi su altre realtà.






Questo è un articolo pubblicato il 30-11--0001 alle 00:00 sul giornale del 05 ottobre 2006 - 6488 letture

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