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''Noi bambini di strada'' raccontato da Chiara Michelon

4' di lettura Senigallia 30/11/-0001 -
Il viaggio in Africa inizia quando torni in Italia” diceva padre Contiero. Anche il viaggio di Chiara è iniziato lontano dall’Africa, quando ha messo insieme tutti i tasselli di un puzzle grande un continente. Ne è nato un libro fatto di persone, sofferenze e sogni che è in grado di avvicinare chiunque lo legga al Mthunzi Centre, un centro sperduto nello Zambia che ospita bambini di strada.

di Giulia Angeletti


Noi bambini di strada” non vuole essere un saggio didascalico sull’Africa e sulle sue miserie, ma un libro per tutti, dove sono le persone a raccontarsi. Chiara Michelon, l’autrice del libro, ha agito come una sorta di “filtro” che ha permesso di togliere il distacco dell’uso della terza persona, e avvicinare il lettore alla materia nuda della narrazione: chi legge si trova davanti il bambino, il suo volto, l’ambiente in cui è nato e cresciuto.

Lo Zambia è un paese sostanzialmente agricolo e molto povero, dove non ci sono quelle grosse disuguaglianze che si trovano per esempio in un paese come il Kenya, dove ci sono pochi molto ricchi e molti poverissimi.
La gente è tutta povera. Ogni famiglia ha tantissimi bambini, gli uomini lavorano, e le donne si occupano dei figli. Tra gli uomini però è molto diffusa la piaga dell’alcolismo, e si trovano spesso famiglie che si reggono unicamente sulle donne.
In questo clima di povertà assoluta, non è raro che una madre spinga il proprio figlio in strada per elemosinare qualcosa.

Le strade delle città sono piene di questi bambini, i cosiddetti street-children, che fanno piccoli lavoretti, elemosinano, o rubacchiano qua e là. Un bambino che vive in strada non è più un bambino, perché perde l’innocenza, i sogni e il piacere del gioco. In strada si deve pensare soltanto a sopravvivere.

Il Mthunzi Centre di Lusaka è un centro dove vengono accolti bambini di strada, gli viene offerto un tetto sotto al quale dormire, la possibilità di andare a scuola, ma soprattutto quell’affetto di cui qualsiasi bambino non può fare a meno. Oggi sono presenti nel centro quasi 60 bambini, e si è vicini alla capienza massima, anche se dalla strada arrivano continuamente nuovi bambini.

In “Noi bambini di strada” dieci bambini ospiti al Mthunzi Centre ci raccontano della loro vita passata, della loro esperienza in strada e dei loro sogni per il futuro. Insieme a loro nel libro sono presenti anche le storie di alcuni adulti che orbitano in qualche modo intorno al centro: educatori africani, volontari italiani, la cuoca del centro e padre Kizito Sesana, il padre comboniano da cui tutto è partito.

Il problema principale di Chiara è stato quello di adattare le parole dei bambini, che si esprimevano in un inglese elementare, al gusto italiano. Per questo ha usato frasi brevi, semplici, che riproducono fedelmente la parlata del bambino. Altro discorso per gli adulti.
Ogni racconto è accomunato da una frase iniziale che fa da titolo, che ricompare più volte come un filo conduttore all’interno del capitolo: “In Africa non mi sento mai sola”, “Se sei triste in strada sei triste ovunque”, “La mia vita è piena di domande” e altre.

Come dice bene Pietro Veronese nella prefazione al libro, ci sono due modi di accostarsi all’Africa, uno con la ragione, e l’altro con il cuore. Chiara ha usato il secondo.
Arrivati in Africa, come Chiara racconta, si incontrano tante cose, belle, ma soprattutto brutte, che non possiamo permetterci di giudicare usando i nostri schemi di pensiero “occidentali”. Se vediamo un educatore che da uno schiaffo ad un bambino, o un bambino sniffare colla, non possiamo permetterci di dire cosa sia giusto. Come lei dice nella prefazione: “Se riesci a non giudicare, a metterti in ascolto, diventerai immediatamente amico di un africano”.

Dall’Africa, ma soprattutto dalle persone che lì ha conosciuto, Chiara ha imparato il rispetto verso qualsiasi tipo di diversità e la bontà totalmente disinteressata. L’africa, come lei dice, tira fuori il lato buono delle persone, che diventano più spontanee, perché non si sentono giudicate.
Ma la cosa più bella la insegnano i bambini, che sono sempre pronti a scommettere che dietro l’angolo ci può essere qualcosa di meglio.

Amani e il Mthunzi Centre
Chiara è arrivata in Africa grazie ad Amani, un’associazione laica, ispirata e fondata tra gli altri dal padre comboniano Renato Kizitio Sesana.
Amani, che in kiswahili vuol dire “pace”, si occupa di progetti e iniziative sul territorio africano e li affida a persone dal luogo. Tra i vari progetti, quelli delle tre case di accoglienza per i bambini e le bambine di strada di Nairobi e Lusaka.
Per informazioni visitare il sito web www.amaniforafrica.org



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Noi bambini di strada






Questo è un articolo pubblicato il 30-11--0001 alle 00:00 sul giornale del 23 agosto 2006 - 9915 letture

In questo articolo si parla di libri, chiara michelon, giulia angeletti





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