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la storia ritrovata: Don Milani, l'Angelo di Barbiana

7' di lettura Senigallia 30/11/-0001 -
Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti, rampollo di una famiglia dell’alta borghesia intellettuale, nacque il 27 maggio 1923, in una sontuosa casa di Firenze, da Albano Milani, laureato in chimica, poeta, filologo, conoscitore di sei lingue, e da Alice Weiss, donna colta di origine ebrea. Lorenzo fu il classico “figlio di signori”.

di Paolo Battisti
bel-ami@vsmail.it


Nel 1930 la famiglia si trasferì a Milano, e il 29 giugno 1933 i genitori di Lorenzo, che erano sposati civilmente, celebrarono il matrimonio in chiesa (per timore delle leggi razziali) e battezzarono i tre figli.

Nell’estate del '34 Lorenzo cominciò ad avvicinarsi alla religione, chiedendo, tra lo stupore della famiglia, di ricevere la prima comunione.
Dopo la maturità egli manifestò l'intenzione di dedicarsi alla pittura. Il padre la ritenne "una ragazzata”, ma lo mandò a fare pratica nello studio del pittore Hans Joachim Staude, a Firenze.

Una volta tornato a Milano aprì uno studio da pittore, e proprio attraverso una ricerca sui colori della liturgia cattolica Lorenzo ebbe modo di avvicinarsi alla religione.

Il 3 giugno '43 avvenne la conversione: il giovane Milani entrò nella sacrestia di Santa Maria Visdomini nel cuore di Firenze e incontrò quello che sarebbe diventato il suo direttore spirituale: Don Raffaele Bensi.
Dopo una settimana ricevette la cresima, e all’età di vent’anni entrò nel seminario di Cestello in Oltrarno dove, pur mantenendo il suo spirito schietto, ironico e spavaldo, accettò le dure regole del Convento (dove si stava: “zitti in latino”, come dirà Lorenzo).

Da allora rimase obbediente (e ribelle) a una Chiesa nella quale lui si sentiva inserito e che lo avvicinò agli strati più poveri della società.
Non mancarono, come dicevamo, i contrasti col rettore e con Don Mario Tirapani, che da vicario generale della diocesi lo perseguì e lo fece confinare a Barbiana.

La famiglia (laica, agnostica) non approvò la scelta di vita religiosa del figlio. Alla cerimonia della tonsura, l'atto d'ingresso alla vita ecclesiastica, non presenziò nessuno dei parenti.

Il 9 ottobre del '47 Don Milani venne mandato nel borgo operaio di San Donato di Cadenzano, come aiuto del vecchio parroco Daniele Pugi. È qui che iniziò l'elaborazione del catechismo storico.
È qui che fondò la scuola popolare. È qui che nacque il nucleo forte delle esperienze pastorali.

Alla morte di Don Pugi, Don Lorenzo venne esiliato e quindi nominato priore di Sant’Andrea a Barbiana, 475 metri sul livello del mare nei monti del Mugello, sopra Firenze.

Il 6 dicembre 1954 arrivò a Barbiana: non c'era la strada, mancavano la luce e l’acqua. Nella parrocchia, che doveva essere chiusa, vivevano una manciata di famiglie sparse sui monti.
La casa più vicina era a mezzo chilometro, le altre sparse per la vallata.
Il paese non era che una chiesa, una canonica, un cimitero.


Questo era il posto dove venne relegata una delle menti più lucide e taglienti della Chiesa italiana.
L’intenzione era quella di mettere a tacere un cervello scomodo, esigente, dogmatico, provocatore, violento, sovvertitore dell'ordine costituito.

Per la Curia fiorentina, isolare Don Lorenzo Milani era la giusta punizione da dare a un sacerdote che non amava le processioni, le feste, che privilegiava i più poveri e più umili e che aveva creato una scuola dove erano ammessi gli operai comunisti.
Un uomo che vedeva nel consumismo, e nelle sue attrattive alienanti, la causa dell'allontanamento del povero dalla Chiesa e dai valori cristiani.

A pochi giorni dal suo trasferimento a Barbiana, Don Lorenzo si rese conto della condanna che la Chiesa fiorentina aveva emanato, e scrisse: "...un prete isolato è inutile, è come farsi una sega. Non sta bene e non serve a niente e Dio non vuole".
Ma Don Milani non si arrese. Acquistò subito un posto nel piccolo cimitero, dove poi venne sepolto con i paramenti sacri e gli scarponi da montagna.


Fondò una nuova scuola per i suoi ragazzi "montanini", dove i poveri figli di pecorai, contadini e orfani impararono le uniche cose che li potevano rendere uguali agli altri: la lettura e la scrittura.

La scuola iniziava alle 8 del mattino e terminava quando era buio.
Una scuola che non conosceva vacanze e che rifiutava le metodologie e le tecniche d'insegnamento nozionistico e trasmissivo.
Un'esperienza unica nel suo genere, e forse irripetibile.


Nel marzo del '58, con l'imprimatur del cardinale, Don Milani pubblicò le “Esperienze pastorali”.
Il tema di fondo era la nuova pastorale tesa a ricostruire un rapporto con la classe operaia, con i poveri. Il libro suscitò molte polemiche. Il 15 dicembre dello stesso anno il Sant'Uffizio ordinò il ritiro dal commercio dell'opera e ne proibì la ristampa e traduzione perché il testo venne giudicato "inopportuno".

In seguito all’elezione al Soglio Pontificio di Papa Giovanni XXIII (28 ottobre ’58), e alla convocazione da parte dello stesso del Concilio Vaticano II (che rivoluzionerà, per certi aspetti, la Chiesa) Don Lorenzo, nell’agosto del ‘59 scrisse a Nicola Pistelli, direttore di Politica, una rivista della sinistra cattolica, Un muro di foglio e di incenso, uno straordinario documento che precorreva la nuova impostazione conciliare sui rapporti interni alla Chiesa cattolica. Pistelli però non ebbe il coraggio di pubblicarlo.

Durante i primi mesi del 1960 arrivarono i primi sintomi della malattia che lo avrebbe condotto alla morte: un linfogranuloma maligno (tumore ai polmoni).

L’11 febbraio 1965, i cappellani militari della Toscana in un comunicato definirono l'obiezione di coscienza "espressione di viltà".
Don Lorenzo elaborò subito la “Risposta ai cappellani militari”, dove difese il diritto ad obiettare ma soprattutto il diritto a non obbedire acriticamente.
La risposta venne pubblicata il 6 marzo da una rivista comunista, Rinascita.
Subito dopo esplose la polemica: il priore di Barbiana venne minacciato di venir sospeso a divinis da Florit (il nuovo Vescovo di Firenze), e denunciato da alcuni ex combattenti alla procura di Firenze.
Venne processato a Roma insieme a Luca Pavolini, il vicedirettore responsabile di Rinascita, per apologia di reato. In vista del processo, non potendo parteciparvi perché malato, Don Lorenzo scrisse la “Lettera ai giudici”.
Il 15 febbraio 1966 Lorenzo Milani e Luca Pavolini vennero assolti perché il fatto non costituiva reato.

Nonostante l’acuirsi del tumore venne preparata la ormai celeberrima “Lettera a una professoressa”, un pamphlet contro la scuola classista che bocciava i poveri.
Una severa reprimenda agli intellettuali al servizio di una sola classe.
Il libro rivoluzionava completamente il ruolo di educatore, denunciando la natura classista dell’istituzione scolastica italiana e proponendo nuovi obiettivi e nuovi strumenti che potessero concretamente andare incontro ai bisogni dei ceti meno privilegiati.

Un'opera scritta collettivamente dai “protagonisti” della scuola di Barbiana e che venne pubblicata nel maggio del '67. I giudizi sulla scuola italiana erano trancianti, irrevocabili. La lettera venne tradotta in tedesco, spagnolo, inglese e perfino giapponese.

Nel marzo del ’67, con l’acuirsi della malattia il priore si trasferì a Firenze a casa della madre.
Egli, non potendo più parlare, comunicava con dei biglietti. All’età di 44 anni, il 26 giugno '67, Don Milani si spense.

Proprio lui, con quel suo carattere duro e tagliente, lasciò un commovente e dolcissimo testamento a due ragazzi della scuola di Barbiana, Francuccio e Michele Gesualdi, che il priore aveva praticamente adottato, e a Eda Pelagatti, la "perpetua", quasi una sorella, che l'aveva curato e seguito in tutta la sua vita di sacerdote.
Eccone il testo:

"Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi,
non ho punti debiti verso di voi, ma solo crediti. Verso l'Eda invece ho solo debiti e nessun credito.
Traetene le conseguenze sia sul piano affettivo che su quello economico.
Un abbraccio affettuoso, vostro
Lorenzo

Cari altri,
non vi offendete se non vi ho rammentato. Questo non è un documento importante, è solo un regolamento di conti di casa (le cose che avevo da dire le ho dette da vivo fino a annoiarvi).
Un abbraccio affettuoso, vostro
Lorenzo

Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi,
non è vero che non ho debiti verso di voi. L'ho scritto per dar forza al discorso! Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto.
Un abbraccio, vostro
Lorenzo





Questo è un articolo pubblicato il 30-11--0001 alle 00:00 sul giornale del 24 settembre 2005 - 8807 letture

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