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libri & cultura: Il banchetto

4' di lettura Senigallia 30/11/-0001 -
Ho cercato nella mia libreria il testo che più mirabilmente è riuscito ad avvicinare i vari “appetiti naturali” nel modo più completo ed “esagerato”!
Credo che “Il banchetto” di Orazio Bagnasco sia quello che mi ha più colpito in questo senso, per la magnificenza dei piatti descritti e per le numerose “scene hard” che accompagnavano spesso i banchetti del 1400.

del Custode del Goolestan


Questo magnifico libro narra, con dovizia di particolari frutto di una ricostruzione storica rigorosissima, del “banchetto del secolo”.
Si festeggiava il matrimonio fra Gian Galeazzo Sforza e Isabella D’Aragona.
800 gli invitati, tutte coppie di bellissimi ragazzi e ragazze scelti per avvenenza e lignaggio, nell’ambito della nobiltà milanese e napoletana.

La descrizione dei cinque “servizi” e degli interminabili preparativi sono appassionanti: è come visitare un mondo sconosciuto e scomparso per sempre.
Non esistevano cucine abbastanza grandi per l’evento e allora furono appositamente attrezzati i sotterranei di un castello.
Vengono costruite nuove strutture murarie, forni e fornelli, acquai e lunghi tavolacci da lavoro.

Ad ogni servizio venivano cambiate le tovaglie e fra un servizio e l’altro venivano serviti stuzzichini di “bianco mangiare”, cioè cibi vari e ricette aventi come comun denominatore il color bianco.

Interessante anche il fatto che, pur mangiando con le mani, i piatti da portata erano innumerevoli, perché ogni cavaliere e ogni dama dovevano potersi servire senza nulla dover chiedere al proprio vicino.
Il “passami quel vassoio o allungami quella bottiglia” non esistevano proprio. Ma più che darvi altri particolari, preferisco ricopiare per voi alcuni “estratti” che renderanno meglio l’idea…
Il primo è riferito alla descrizione di una delle portate principali, che fa capire bene come fosse importante stupire i commensali:

…Il Gran Cuciniere poneva una particolare attenzione al “Vitello mezzo arrostito e mezzo lessato”. La ricetta proveniva dal testo dell’Apicio, il grande esperto romano di cucina del primo secolo dopo Cristo.
Si faceva bollire nel brodo grasso, con tutti gli aromi, in un’apposita caldaia, la metà posteriore di un grosso vitello, mentre l’altra metà sporgeva da un foro praticato sul coperchio del pentolone stesso e perché non cuocesse la si manteneva fresca con degli stracci bagnati. La parte rimasta cruda veniva successivamente messa ad arrostire in un apposito forno. Questa volta si faceva entrare nel forno solo la parte da arrostire, mentre quella già bollita fuoriusciva dal portello e veniva tenuta, anche in questo caso al riparo dal calore con degli stracci umidi. In tal modo il Gran Cuoco poteva presentare un vitello, che sarebbe stato servito in tavola ricoperto con foglie d'oro e riempito di uccelli vivi, metà bollito e metà arrosto, intatto, senza che il corpo dell’animale fosse stato mai diviso. (…)


C’è poi una interessantissima descrizione di come operava un trinciante alla corte degli Sforza. Nel libro si racconta anche del banchetto che si tenne presso gli Aragona, dove però il trinciante lavorava da seduto.
Pare che si scatenò una rissa, perché i milanesi presero in giro i napoletani in merito alle scarse capacità dei trincianti partenopei, che comunque, come quelli lombardi, provenivano dalla nobiltà, dovevano essere di bell’aspetto e impeccabili nei modi, nell’abbigliamento e nella pulizia.

Quando le carni arrivarono alla mensa ducale, il Gran Trinciante cominciò l’atteso esercizio della sua arte. Tenendo i piedi ben uniti ed il corpo eretto, infilzò con la forcina il pezzo di capriolo che doveva tagliare. Lo alzò nell’aria e senza mai appoggiarlo a nessun tagliere, tranciò con colpi sicuri le fette dello spessore e della dimensione opportuna. Fece in modo, e ciò destava ogni volta la meraviglia dei presenti, che ogni trancia cadesse nel piatto sorretto da un suo aiutante, in un ordine perfetto, in modo che non occorresse sistemarle ulteriormente prima di servirle al Signore ed ai suoi commensali di alto rango. Ora con un profondo inchino, facendo svolazzare la piumata berretta, fece un passo indietro e attese. Così agiva e lavorava un nobile Trinciante all’italiana.

Per ovvie ragioni di opportunità, ometto di trascrivere anche una delle parti decisamente erotiche, che Bagnasco, storico appassionato, non poteva non inserire, in quanto i grandi banchetti finivano regolarmente in orge collettive.
Una delle più piccanti è certamente quella che narra dell’esperienza della affascinante Monna Andrea e del moro del quale s’era invaghita.

Il libro, oltre che ad essere un magnifico romanzo storico, è anche un giallo, costellato di omicidi eccellenti e misteriosi.

Il Gran Cuciniere, e soprattutto un astuto ambasciatore, cercano il bandolo della matassa di una intricata storia fra inimicizie fra stati e sordidi interessi.
I due amici però parlano quasi sempre davanti a squisiti piatti, semplicissimi come le uova al tartufo, che il Gran Cuciniere può ammannire solo per un amico fidato come l’ambasciatore.
Per principi e convitati ci volevano invece piatti complicati e pieni di spezie, fatti per stupire e per mostrare la ricchezza e la potenza dell’ospite.

Buona lettura


   

EV




Questo è un articolo pubblicato il 30-11--0001 alle 00:00 sul giornale del 19 settembre 2005 - 11665 letture

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