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la storia ritrovata: Quando uno ''schiavo negro'' costava 500 dollari

8' di lettura Senigallia 30/11/-0001 -
La storia dello schiavismo nelle colonie americane cominciò nel 1619, quando nello stato della Virginia furono deportati i primi schiavi neri.
Durante i primi anni il numero degli schiavi presenti in quella porzione di continente era ancora molto esiguo: la popolazione di colore della stessa Virginia intorno al 1670 ancora non superava le 2000 unità.

di Paolo Battisti


In quei primi anni la condizione giuridica degli individui di colore non aveva ancora una collocazione ben definita, anche se la consuetudine li aveva relegati da subito in una posizione di inferiorità.
Dopo il 1660 cominciarono le prime leggi al riguardo, in particolare per differenziarli dagli “schiavi bianchi” (tratteremo di loro in un prossimo articolo); Virginia e Maryland furono i primi stati a promulgare delle leggi che dichiaravano i negri, i loro figli e i mulatti schiavi a vita. Ai negri fu proibito possedere armi e avere rapporti sessuali con i bianchi. Per loro inoltre, liberarsi dal “padrone” divenne sempre più difficile.
Dal 1700 in poi l’importazione di schiavi aumentò in maniera costante e lo schiavismo mise radici profonde, visto che dal punto di vista economico era un sistema profondamente conveniente, dato che i negri rimanevano al servizio del padrone per tutta la vita (provvisti solo di un misero vitto ed un esiguo alloggio), ed erano facilmente identificabili per il colore della pelle. E anche se l’investimento iniziale era elevato, essi si riproducevano con frequenza e quando venivano impiegati in squadra rappresentavano un’efficiente forza-lavoro.
Un ulteriore vantaggio che favorì la deportazione dei neri fu la caduta dei prezzi degli schiavi, avvenuta dopo il 1687, quando la Royal African Company perse il suo monopolio sul commercio degli schiavi africani e le subentrarono mercanti inglesi e coloniali.
La popolazione di colore delle colonie salì da 20mila ad inizio settecento a circa 350mila nel 1763.
Il sud quindi venne trasformato dall’espansione della produzione del cotone ma soprattutto dalla presenza dello schiavismo. Fra le società schiaviste del nuovo mondo, quella del vecchio sud fu la sola che non ebbe bisogno di mantenersi con nuove importazione di schiavi dall’Africa.



Per quanto il commercio degli schiavi africani fosse ufficialmente terminato nel 1808 (la Costituzione Americana del 1787 aveva scritto la parola fine alla “tratta degli schiavi”, cioè all’importazione dei neri, ma ci vollero più di vent’anni – il tempo per fare il pieno di schiavi si scrisse – per ottenere la sua effettiva promulgazione), il numero degli schiavi continuò a raddoppiare, salendo a 857mila nel 1800 fino a quasi 4milioni nel 1860 (la maggior parte degli schiavi proveniva dalle zone più settentrionali del sud, come Virginia e il Maryland, in cui il terreno si era esaurito).
Gli americani infatti non si preoccuparono per quella scadenza, visto che molte personalità di spicco (politiche e non), vista l’importanza degli schiavi, contribuirono a dare un’interpretazione “flessibile” della Costituzione.
Nella stessa Costituzione non compariva mai un riferimento esplicito allo schiavismo, se non tramite l’uso di “artifizi” letterali. Nella sezione II e nella sezione IX della Costituzione si poteva notare infatti la grande ambiguità che caratterizzava quell’argomento: "L' importazione delle persone che uno Stato dell'Unione ritiene opportuno di ammettere non potrà essere proibita fino al 1808" (eravamo nel 1787).
Del resto a giustificare e legittimare il mantenimento della schiavitù erano le necessità economiche degli Stati Uniti. La schiavitù appariva come un sistema economico molto vantaggioso per la produttività di quegli stati, dalla quale non si poteva prescindere.
Per questo motivo il commercio interno degli schiavi era ben organizzato e molto redditizio: alla vigilia della guerra di secessione coinvolgeva circa 80mila schiavi l’anno, per un valore di 60 milioni di dollari.
Dopo la chiusura della tratta degli schiavi dall’estero i prezzi salirono rapidamente. Per acquistare uno “schiavo negro” nel 1832 bastavano 500 dollari, ma verso il 1860 ne occorrevano 1800. Non tutti gli schiavi erano adibiti alla coltivazione del cotone o all’agricoltura. Le piantagioni infatti avevano bisogno anche di molti schiavi artigiani (falegnami, muratori, manovali, ecc.), oltre naturalmente a quelli impiegati per i servizi domestici.
Gli stati del sud quindi regolarono con delle leggi le condizioni degli schiavi negri, e come accennavamo sopra queste furono molto repressive: essi non potevano avere proprietà, portare armi da fuoco, riunirsi con altri neri se non in chiesa, abbandonare la proprietà del padrone senza permesso, deporre come testimoni in tribunale contro un bianco, sposarsi legalmente. Era vietato loro anche imparare a leggere e a scrivere.
E’ difficile fare un quadro generale sulla vita e la condizione degli schiavi: esso dipendeva dalla regione in cui vivevano, dal raccolto, dalla stagione, e dal carattere dei singoli padroni. Pur tuttavia lo schiavismo fu un sistema basato essenzialmente sulla paura. Per quanto crudeltà e brutalità non fossero la regola, spesso non si riusciva a frenare la violenza cui anche il migliore dei padroni poteva soccombere, e ancora più difficile era impedire eccessi a padroni violenti, sadici e ubriaconi.
Se la fustigazione era la punizione più comune, non era affatto la più severa; dalle cronache degli stessi giornali del sud di quel periodo si possono leggere storie di marchiature a fuoco, mutilazioni, impiccagioni, privazioni deliberate di cibo e torture.
Comunque la vera degradazione della schiavitù non era fisica, ma psicologica: essa ingenerava spirito di dipendenza e d’incapacità e minava la consapevolezza del proprio valore. I presidenti Washington e Jefferson pensarono entrambi all'eventualità di abolire la schiavitù, ma di schiavi ne possedevano molti anche loro. Il primo decise di liberare i suoi solo alla sua morte (nella tomba non gli servivano), mentre Jefferson conservò quel capitale anche per gli eredi.
Fu il presidente Lincoln, nel 1863-65, il primo che, attraverso il Proclama di Emancipazione, dichiarò liberi gli schiavi presenti in tutti i territori della Confederazione sudista. Il proclama fu uno dei motivi che condusse il continente alla guerra civile, dato che Lincoln non poteva dare degli ordini a governatori di Stati che non erano dentro la sua Confederazione.
Quindi i “nordisti”, con questa mossa, mirarono a far sollevare gli schiavi contro i padroni, con la speranza di avere così degli alleati nell'abbattimento di un "sistema economico" che cominciava a dare molto fastidio agli stati del nord a vocazione industriale. Il proclama fu un mezzo per servirsi degli schiavi allo scopo di indebolire gli avversari sudisti. Infatti, gli schiavi residenti negli Stati federali all'Unione (Nordisti) non riuscirono affatto ad emanciparsi, e la loro liberazione fu un processo lento e doloroso, ostacolato spesso dagli stessi bianchi, che malvolentieri si videro costretti, al cospetto dell’opinione pubblica mondiale, a uscire fuori dall'ambiguità.
L'abolizione della schiavitù fatta in questo modo creò inoltre più problemi di quanto ne aveva risolti, dato che ci fu tanta incapacità (o non volontà) di rispondere alle aspirazioni dei neri liberati. E benché nel 1862 fossero dichiarati cittadini americani, essi non poterono beneficiare della legge sull'homestead, che permetteva di acquistare piccoli appezzamenti di terra a condizioni vantaggiose su quelle stesse piantagioni dove avevano lavorato come schiavi. Fu precluso loro l'accesso sia all'affitto della terra e sia alla proprietà.
Evitando di dare alla popolazione di colore la possibilità di avere una sistemazione e degli stimoli, persistette nei loro confronti una condizione di sotto-sviluppo, che li fece sprofondare ancora di più nell'indigenza. Sprovvisti di esperienza nella vita pratica, la maggior parte dei neri caddero nella rete degli sfruttatori (intermediari) senza scrupoli, nelle stesse piantagioni, e spesso solo per essere impiegati (e sottopagati) nel periodo dei raccolti.
Le riforme economiche e sociali promesse furono inesistenti, e nonostante un forte e consolidato regime liberale l'emancipazione reale dei neri trovò lungo la strada delle grosse difficoltà e molti ostacoli, creando così per loro altra indigenza e grossi problemi esistenziali. Essi approfittarono dell'unica libertà che gli era stata concessa, quella di muoversi; e la direzione che presero fu verso le grandi metropoli, dove però continuarono a perpetuare la miseria con un altro genere di sfruttatori. Il problema così si spostò dalle campagne alle città, dove la fredda democrazia liberale creò distanze ed emarginazione ancora maggiori e di conseguenza fu la responsabile nel provocare la nascita di quartieri “ghetto” con alte percentuali di violenza.
Rimane da chiedersi perché mai a questa parte di cittadini americani che hanno contribuito a fare del capitalismo americano il più forte Stato del mondo, i diritti e la felicità, fino a poco tempo fa (e ancora ci sarebbe molto da lavorare) sono stati negati?





Questo è un articolo pubblicato il 30-11--0001 alle 00:00 sul giornale del 16 luglio 2005 - 2294 letture

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