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L'Urlo di Pippo Delbono colpisce gli occhi e il cuore

3' di lettura Senigallia 30/11/-0001 -
Teatro colmo di volti esterrefatti e assorti nello spettacolo teatrale di Delbono che descrive il Mondo e la nostra società .

di Giulia Torbidoni
giulia@viveresenigallia.it


Se pensiamo alla parola Urlo subito la nostra mente non solo raccoglie una vasta gamma di prodotti artistici, si pensi al dipinto di Munch o alla celebre opera di Ginsberg, ma anche un campionario di sensazioni ed emozioni che nella nostra vita ci hanno colpito e continuano a farlo, si pensi all’urlo di disperazione o felicità.
Delbono mette in scena l’urlo del neonato che nel venire alla luce lancia un pianto di dolore e proprio quel pianto è l’emblema della vita che inizia, il respiro che prende il via, la protezione materna che si abbandona per entrare nel Mondo e nella propria solitudine.
L’urlo di Delbono è anche quello del carcerato che giustifica lo spessore delle mura e l’altezza delle sbarre con il pudore e la paura dell’Uomo di mostrare a Dio un luogo così brutale.
Ma soprattutto “Urlo” è lo spettacolo che colpisce profondamente la nostra interiorità. E’ infatti inevitabile l’identificazione dello spettatore nelle varie situazioni che si susseguono sulla scena e che narrano gli episodi della nostra società con i suoi piccoli e grandi giochi di potere, da quello religioso a quello familiare o politico, i suoi paradossi, le sue incoerenze che generano dolore.
Lo spettacolo risulta essere una commistione di più linguaggi artistici tanto che la comunicazione teatrale sembra così densa e ricca di molteplici parole, colori, suoni ed immagini, proprio come risulta essere la vita.
Si ha così l’emozione di vedere la scena popolata da sempre diversi personaggi che, usando puramente il proprio corpo, comunicano i disagi odierni provocati dai luoghi comuni e dagli obblighi imposti dal conformismo sociale e lanciano messaggi di ribellione. Una difesa diventa quindi l’urlo, simbolo dello scagliarsi contro un sistema che ingloba e risucchia tutte le menti e le libertà.
A fianco al linguaggio corporale si nota una grande cura affidata alla scelta dei costumi e della scenografia che risultano potenziati nel loro potere comunicativo; inoltre, a conferma del mescolamento di più arti nello stesso spettacolo, si ha la forza della scrittura e della poesia de “La Ballata del Carcere di Reading” di Wilde, de “Il Riccardo II” di Shakespeare e di “Urlo” di Ginsberg portate nel vivo in ogni angolo del teatro dalla voce di Orsini e di Delbono.
Uno spettacolo, dunque, che affida gran parte della comunicazione ad una sorta di simbolismo, quasi a creare una musica ed un ritmo totali e coinvolgenti che trascinano lo spettatore dentro l’atmosfera che si va creando, che così arriva alla comprensione dei messaggi tramite un percorso non logico o intellettivo, ma sensoriale e percettivo. Questo perché sulla scena si porta la vita nelle sue immagini e proprio ad esse si affida la comunicazione delle emozioni e dei pensieri.
E’ mancata la partecipazione di Giovanna Marini, e del suo quartetto, sostituite dalle registrazioni; ma come ha poi detto Delbono lo spettacolo è stato pensato proprio per una partecipazione saltuaria della Marini.
Uno spettacolo che rompe coi dettami tradizionali, innovativo, dirompente e violento che ha fatto il giro d’Europa sconvolgendo e affascinando il pubblico con i suoi 23 interpreti che hanno saputo emozionare e tradurre in arte i dolori del reale.

   

EV




Questo è un articolo pubblicato il 30-11--0001 alle 00:00 sul giornale del 20 aprile 2005 - 1627 letture

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