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Una befana con calze di Pace
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1960


Si è svolto giovedì pomeriggio a Jesi l’annuale incontro con personalità di Pace. Per la prima volta due donne protagoniste in prima persona della situazione in Palestina e in Israele. |
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di Giulia Torbidoni
giulia@viveresenigallia.it
E’ il terzo anno consecutivo che il Comitato per la Pace di Jesi, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale della città, organizza la giornata della Pace, chiamando all’appello personalità diverse impegnate in prima linea per portare aiuto concreto in zone di guerra, disperazione, negazione di ogni diritto umano.giulia@viveresenigallia.it
Nella giornata dell’Epifania e dell’Infanzia, giornata dedicata ai Bambini di tutto il Mondo, si è tornati a parlare di Pace con due donne: la scrittrice e giornalista israeliana Manuela Dviri e la dottoressa pediatra palestinese Joumana Odeh. Dopo Gino Strada e Padre Alex Zanotelli due donne, madri e mogli, vengono chiamate per esprimere i loro punti di vista, per raccontare il loro impegno contro la distruzione. Due donne, come si sono definite, senza appartenenza esclusiva ad una “squadra”, ma due uguali esseri umani.
Joumana nasce a Gerusalemme, città che lei stessa definisce “creata per la coesistenza di tutti i popoli”, è pediatra ed insegnante di medicina, madre di due figlie e personalità di spicco nella questione politica: scrive, infatti, molti articoli in cui esprime le sue opinioni relative al conflitto ed alla situazione attuale.
Il suo lavoro si concentra sui bambini, prime vittime innocenti di ogni conflitto; sugli effetti che la guerra, a livello fisico e psicologico, ha su di loro, ma anche sulle loro sorprendenti capacità di recupero. Proprio a tale proposito, Joumana ha ricordato, mostrandone anche la foto, un ragazzino palestinese che, completamente solo, durante la prima Intifada lanciava sassi più grandi e pesanti di lui (la foto lo ritraeva proprio nel momento del lancio di un sasso) e che, dopo le cure e l’assistenza dei medici dell’Ospedale in cui Joumana lavora, è riuscito a liberarsi, almeno in parte, del peso del conflitto ed ora è un musicista.
Quello che si cerca di fare è di strappare i bambini dall’orrore della guerra. Dentro l’Ospedale non solo vengono curati con medicine, la maggior parte delle quali proviene dall’Europa, ma vengono aiutati ad esprimere le loro sensazioni, le loro emozioni. Grazie alle varie attività ricreative e ludiche i bambini riescono a crearsi i loro spazi, altrimenti rubati dalla guerra, a liberarsi di paure e dolori. Esemplare è stato vedere i loro disegni, neri e cupi, che ritraggono bombe e carri-armati, appena entrati in ospedale, sempre più colorati, gioiosi e, come ha detto Joumana “..sempre più simili a quelli dei vostri bambini..” a mano a mano che le cure procedono.
Altro elemento importante è l’aiuto apportato anche alle madri di questi bambini, spesso afflitti da gravi, complesse e sconosciute malattie come l’epilessia, di cui soffrono 25.000 bambini a causa delle condizioni di terrore e sconvolgimento che si trovano a vivere.
Così, nonostante i difficili spostamenti, basti pensare che le ambulanze non possono oltrepassare i Check-point e sono quindi necessari due mezzi che proprio nel Check-point, come una staffetta, si passano il “testimone”, nonostante la povertà, si prova a rincorrere una Pace Doverosa e Possibile che c’è nei cuori di tutti, soprattutto dei bambini che provano ancora, come mostra una foto, ad oltrepassare il muro, smisuratamente alto, che si sta brutalmente costruendo.
Manuela Dviri è invece una donna israeliana con salde radici marchigiane: la madre era di Ancona e proprio nel nostro entroterra ha trovato più volte rifugio dalle persecuzioni nazifasciste.
Madre di tre figli ha perso, sette anni fa, il più piccolo, ucciso da un missile in Libano dove l’esercito israeliano andava per proteggere i propri confini.
Il dolore si è presto tramutato in azione concreta soprattutto quando, insieme ad altre donne che come lei avevano perso i figli nelle stesse situazioni, ha iniziato a chiedersi perché l’esercito israeliano proteggesse i suoi confini da fuori, appunto dal Libano piuttosto che da dentro il territorio di Israele.
Nasce così il comitato delle Quattro Donne che è riuscito nel 2000 a far rientrare l’esercito israeliano nei confini del proprio stato. Furono preventivamente accusate di essere responsabili di possibili attentati terroristici da parte del Libano; in realtà l’unica cosa che è successa è stata che nessun ragazzo israeliano è più morto in operazioni di protezione dei confini statali, operazioni che, da parte libanese, erano naturalmente viste piuttosto come un’occupazione delle proprie terre.
E’ a questo punto che Manuela lascia il lavoro per dedicarsi interamente alla situazione politica e sociale del Paese. Inizia a scrivere, articoli e libri, e proprio in Italia conosce altre due donne, una araba israeliana e una palestinese. Da questo rapporto di amicizia che si instaura Manuela viene a conoscenza della situazione dei bambini palestinesi e pone la questione al centro dell’attenzione con un articolo sul Corriere della Sera.
In seguito a questo articolo le arrivano i primi 5.000,00 euro che destinerà all’associazione, di cui fa parte, “Peres Children for Peace” per il progetto “Save Children” che permette ad una equipe di medici di valutare quali bambini palestinesi siano nelle più gravi condizioni ed abbiano bisogno di urgenti cure, possibili quasi unicamente negli efficienti ospedali israeliani.
Tutto ciò avviene tramite fondi che arrivano dall’estero soprattutto dall’Italia: a tale progetto hanno aderito la Regione Toscana prima di tutti, alcuni Comuni marchigiani, Jesi stessa, e da pochi giorni anche la Regione Emilia Romagna.
L’Associazione israelo-palestinese è riuscita da novembre, quando il progetto “Save Children” è iniziato a salvare 750 bambini con operazioni molto complesse, anche a cuore aperto.
Ora, oltre che a continuare, si pensa anche a moltiplicare lo sforzo. Si stanno raccogliendo fondi per aprire un reparto di ematologia dentro un ospedale palestinese e per fare in modo che, grazie alla tele-medicina, finanziata da Jesi e da altre città marchigiane, i due ospedali, appunto quello palestinese e quello israeliano, entrambi a Gerusalemme, possano cooperare.
Un grande impegno concreto e necessario, cui la città di Jesi ha idealmente dato un appoggio di speranza e fiducia, consegnando la cittadinanza onoraria ai due protagonisti del processo di pace in Medio-Oriente, premiati dieci anni fa con il Nobel: Rabin e Arafat.
Proprio nel giorno dedicato ai bambini vengono chiamate due donne a parlare di pace. Non è un caso. Finito l’incontro ho avuto l’opportunità di avvicinarmi e parlare con queste due splendide donne ottimiste e “folli”, come le chiamano i loro mariti, e mi hanno detto che la maggior parte delle associazioni pacifiste in Palestina e in Israele sono femminili. In Medio-Oriente, nonostante quanto di scarso e superficiale passi la televisione, non sono attivi solo militari e terroristi (quasi tutti uomini): circa l’80% delle azioni di pace sono portate avanti da donne, palestinesi e israeliane insieme. Rimane un enorme ostacolo, e cioè la totale sordità dei politici che sono, per il 95%, uomini.

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