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la storia ritrovata: Edgardo Mortara e il suo 'incontro' con Pio IX

5' di lettura Senigallia 30/11/-0001 -
La storia di Edgardo Mortara ebbe inizio a Bologna la sera del 23 giugno 1858, quando due gendarmi si presentarono dinanzi alla casa dei coniugi Mortara.

di Bel-Ami


La storia di Edgardo Mortara ebbe inizio a Bologna la sera del 23 giugno 1858, quando due gendarmi si presentarono dinanzi alla casa dei coniugi Mortara, ebrei, per avvertirli che il rappresentante del Sant'Uffizio nella città, l’inquisitore Pier Gaetano Feletti (frate domenicano), aveva dato ordine di prelevare dalla famiglia il figlio Edgardo, che all'epoca aveva sei anni.
Questo accadde perché il piccolo era stato segretamente battezzato da Anna (Nina) Morisi, una ragazza della campagna bolognese che prestava servizio dai Mortara.
Alcune settimane prima infatti Edgardo (all'epoca aveva all’incirca due anni) era stato colto da una gran febbre e allora Nina, temendo che morisse, all'insaputa dei genitori aveva battezzato l'infante, e raccontato poi tutto a Padre Feletti che, - per ordine di Roma -, decretò che il bambino, ormai battezzato nella Chiesa Cattolica, fosse sottratto ai genitori.
La disperazione della famiglia e l'intervento della comunità ebraica di Bologna fecero slittare di un solo giorno l’esecuzione dell'ordine. Il 24 giugno Edgardo fu portato via dai gendarmi e spedito a Roma, ove venne ospitato nella casa dei catecumeni, per ricevere finalmente l’educazione cristiana che, secondo la Chiesa, gli spettava ormai di diritto.
A Roma, Pio IX, assumendosi in prima persona la responsabilità del rapimento, disse in seguito di considerare Edgardo ormai come un “figlio”.
Quelle che risultarono subito evidenti furono le violenze di natura psicologica, esistenziale e religiosa subite da questo bambino di sei anni, costretto a ripudiare le sue radici e la sua stessa famiglia, presentatagli come indegna.
In seguito a ripetute insistenze, la madre nell’ottobre del ’58 ottenne dalle autorità ecclesiastiche il permesso di rivedere per brevi istanti il figlio, naturalmente presenti e vigili alcuni sacerdoti. In quell'occasione il piccolo riuscì a dire alla mamma che la sera recitava ancora le preghiere ebraiche.
Dopo quel fugace incontro ad Edgardo fu concesso di rivedere un familiare solo nel 1870 (si incontrò con il fratello Riccardo, entrato a Roma con i bersaglieri...). Egli era così interiormente cambiato che tentò di convertire alla fede cattolica i suoi parenti ebrei (tentativo che andò fallito).
Il “caso Mortara” ebbe enorme eco in Italia, in Europa e perfino negli Stati Uniti d’America. Per perorare la causa dei Mortara si mossero non solo le comunità ebraiche (questo fu uno dei motivi che spinsero gli ebrei a cercare di unirsi per difendersi da questi soprusi, attraverso la creazione in Francia dell’Alliance Israélite Universelle), ma anche autorità politiche, da Cavour a Napoleone III di Francia.
Durante l'”inutile” (e infruttuoso) processo a Padre Feletti (che si tenne durante la Seconda Guerra d’Indipendenza, quando Bologna rovesciò il Potere Pontificio), la pubblica accusa apostrofò così esaustivamente la vicenda del piccolo Edgardo: “E per codesta insulsaggine vale la pena di commuovere e contristare una città nobilissima, coll'improvviso, violento, clamoroso rapimento a mezzo di tanti gendarmi di un fanciullo? Vale la pena di gettar via tra le lagrime e le convulsioni del dolore, della desolazione, nella rovina della salute, e dei beni, una quieta, onorata, industriosa famiglia, due genitori, tipo di amor paterno, sei figlioletti rimasti di un fratello carissimo? Vale la pena di mettere sulle bocche d’Europa, sulla bocca d’amici, o nemici della Chiesa Cattolica, sulle penne astiose del giornalismo dei due Emisferi, un rapimento si strano, si esoso, si snaturato?”.
La presa di posizione di Pio IX in questa vicenda, in piena età di costituenti liberali e di emancipazione ebraica dal resto dell'Europa fu infatti considerata dall’opinione pubblica interna ed estera come assolutamente scandalosa. La perdita di prestigio morale che ne derivò per la Chiesa contribuì (secondo alcuni storici), ad accelerare il processo di unificazione nazionale e a porre fine al potere temporale che appariva ormai anacronistico e non più difendibile.
Nonostante il clamore internazionale, le pressioni politiche e la persistente lotta della famiglia prottrattasi per tutti gli anni successivi al “prelevamento” di Edgardo, il diniego del Papa a restituire il bambino fu irremovibile.
La Chiesa era pervicacemente convinta di essere nel giusto riguardo il “caso Mortara”. Per capire le ragioni addotte dal Vaticano è utile citare la conclusione del documento che il Segretario di Stato, Cardinale Giacomo Antonelli, inviò alle nunziature apostoliche in risposta ad un promemoria presentato dai Mortara: “…esiste la prova canonica del conferito battesimo, onde non vi è più ragione e diritto per richiamare il figlio sotto la patria potestà… La Chiesa, madre, Maestra e Sovrana degli uomini non lede alcun diritto, non reca onta di sorta, ma adempie alla sua Divina missione col tutelare i battezzati suoi figli togliendoli dal pericolo di apostasia”.
Pio IX, dopo la presa di Porta Pia, (20 settembre 1870) consigliò ad Edgardo, ormai entrato in seminario, di allontanarsi da Roma; egli raggiunse così Bressanone, e poi la Francia, dove nel 1873 fu ordinato prete. Viaggiò in Europa e anche negli USA, con grande imbarazzo della Chiesa Cattolica Americana. Da adulto ristabilì i contatti con la famiglia d’origine.
Morirà in Belgio nel 1940, poco prima dell’invasione nazista del paese che, paradossalmente, fosse egli stato ancora in vita, lo avrebbe costretto a riscoprire bruscamente la sua origine ebraica.





Questo è un articolo pubblicato il 30-11--0001 alle 00:00 sul giornale del 25 settembre 2004 - 8156 letture

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