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psicologia: Aggressività: Un confronto tra uomo e animale

6' di lettura Senigallia 30/11/-0001 -
Lo spazio dedicato alle vostre domande allo psicologo.
Scontri armati sono in atto, nonostante la buona volontà (o apparente buona volontà) dei governi di tutto il mondo di creare le condizioni di pace, le spese per gli armamenti sono in costante aumento, è pertanto comprensibile chiedersi che cos’è e da dove viene l’aggressività.

a cura del Dott. Pinto Francesco
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dr.pinto@libero.it


Lorenz ed altri autori sostengono che l’aggressività nasce spontaneamente nell’uomo, che si origina nel suo cervello, trattandosi di un’eredità dei nostri antenati animali, e che essa cresce, diviene sempre maggiore se non trova uno sfogo, ne consegue da questa premessa che l’uomo non può fare altro che compiere atti aggressivi una volta che l’energia aggressiva si sia in lui accumulata e finisce per esplodere. Una teoria che definiamo “idraulica”, nel senso che tanto maggiore è l’energia accumulata, alta è la pressione, tanto sono più alte le probabilità che si verifichi un’eruzione esplosiva.
Altri studiosi propongono un’altra versione della natura dell’aggressività e ritengono che questa sia il prodotto di condizioni sociali e che si manifesta nelle forme forgiate dalla cultura d'appartenenza.
Ma la teoria che ha avuto più seguito nel vasto pubblico è stata la teoria di Lorenz in quanto essa fornisce una spiegazione tale per cui ci si persuade che ci sia ben poco da fare e conducono alla conclusione che l’uomo è per sua natura cattivo, distruttivo, con la conseguenza che la guerra è inevitabile, e inevitabile dunque anche un’inflessibile autorità, locale nazionale o mondiale che sia; che gli individui devono essere sottoposti a controllo perché bisogna proteggerli dalla loro stessa aggressività.
Secondo la teoria socio/culturale, l’uomo è per sua natura buono, e a renderlo cattivo sono le condizioni sociali. Se queste vengono mutate, la cattiveria dell’uomo, la sua aggressività, può essere ridotta o eliminata del tutto.
A mio avviso entrambi i punti di vista portano delle esagerazioni.
Personalmente faccio mia una terza posizione; parto dal presupposto che l’uomo sia potenzialmente assai più distruttivo e crudele dell’animale. L’animale non è sadico, non è nemico della vita, mentre la storia umana è una serie di incredibili crudeltà e insensati atti di distruttività.
Ritengo comunque che tutto ciò non vada rintracciato nella bestialità residua che alberga in noi, negli istinti, ma che la capacità distruttiva umana, proprio perché maggiore di quella animale abbia il proprio fondamento nelle specifiche condizioni della nostra esistenza.
Ho detto appositamente distruttività e non aggressività perché ritengo che queste siano cose completamente diverse e che l’aggressività non sia un male in sé, ma lo è quando il suo uso non porta benefici né al singolo né alla collettività: quando appunto distrugge.
Soffermiamoci brevemente sull’aggressività animale. Essa è biologicamente condizionata, nel senso che serve alla sussistenza dell’individuo e della specie e viene mobilitata quando gli interessi vitali dell’animale sono minacciati, in altre parole quando si profila una minaccia alla sua esistenza, alle sue fonti di cibo, ai suoi rapporti con gli altri animali, al suo territorio etc...
In tal caso, l’animale (del resto anche l’uomo) reagisce con l’attacco o con la fuga. Qualora tale minaccia non si profila, l’aggressività non verrà mobilitata. Essa è dunque presente nel cervello quale meccanismo che può essere sempre potenzialmente attivato ma che però, in assenza di un particolare stimolo, di un movente specifico, non si mette in funzione e non spinge a certi comportamenti.
Comunque si voglia è facile constatare che in genere gli animali sono assai poco aggressivi, eccezion fatta di quando si sentono minacciati. Da osservazioni compiute con scimpanzé, babbuini e altri primati, risulta che la loro vita sociale è straordinariamente pacifica, e si può ben dire che se l’umanità mostrasse un’aggressività pari a quella degli scimpanzé, non dovremmo certo preoccuparci di guerre e violenza di nessun genere.
È dunque evidente che l'aggressività animale non risponde al modello “idraulico”. Finché l’animale non si sente minacciato, non si dà nessuna aggressività che cresca fina al punto in cui si verifica l’esplosione. Identico possiamo dire dell’uomo: è questa una possibilità insita nel cervello per la sopravvivenza del singolo e della specie, biologicamente data, ma non è affatto una necessità; ed essa non si rende manifesta a meno che non intervengono determinate condizioni attinenti alla sopravvivenza.
Infine va detto che l’animale così come l’uomo in caso di pericolo non reagisce solamente con l’attacco ma quando possibile preferisce la fuga (se così non fosse non si spiegherebbero le leggi in forza delle quali la diserzione viene punita con la morte).
Insomma due sono le possibilità che il cervello da all’uomo così come all’animale: la possibilità di attacco e la possibilità di fuga.
Vediamo ora quali sono le differenze tra l’uomo e l’animale.
La capacità di aggressività reattiva difensiva, nell’uomo, è di entità assai maggiore, e ciò soprattutto per tre motivi. In primo luogo, l’animale subisce la minaccia solo nel presente: qui ora. L’uomo invece, in quanto dotato di intelletto, è in grado di immaginarsi un futuro, ragion per cui può sperimentare anche un pericolo pensato ma non presente.
Il secondo motivo per cui l’aggressione reattiva umana è di ampiezza tanto maggiore, va visto nel fatto che l’uomo, al contrario dell’animale, è suggestionabile: si può persuadere un proprio simile che la sua vita e la sua libertà sono in pericolo, e per farlo occorrono parole, simboli, mezzi di comunicazione (nelle relazioni internazionali gli stati sono minacciati per una vera e/o presunta capacità e volontà di dotarsi di armi nucleari).
Così facendo si è in grado di suscitare quell’aggressività di cui si ha bisogno per indurre gli uomini a combattere.
Infine, un terzo motivo: l’uomo ha particolari interessi vitali, dovuti al fatto che ha valori, ideali, istituzioni con cui si identifica, con la conseguenza che un attacco contro questi ideali, le persone che per lui hanno importanza vitale, le istituzioni che ritiene sacre, acquista lo stesso significato di un attacco alla sua vita, ai suoi mezzi di sussistenza; e può essere l’idea di libertà, di onore, della religione della bandiera etc.. Tutti questi valori, istituzioni, ideali, sono per lui altrettanto vitali della sua esistenza fisica; e, qualora siano minacciati, l’uomo reagisce con ostilità, (e di questi giorni sentire dire che la guerra/terrorismo in corso è una guerra tra la libertà del mondo cristiano occidentale contro l’oscurantismo del mondo mussulmano e questi a sua volta in guerra contro gli infedeli).
Se si tiene conto di questi tre fattori, si comprende facilmente come già l’ostilità difensiva dell’uomo, sebbene fondata sullo stesso meccanismo dell’ostilità difensiva degli animali, sia assai maggiore, e ciò perché si da un numero molto maggiore di minacce, oppure perché molte cose, rispetto all’animale, sono intese, o ce le fanno intendere, come minaccia.

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Questo è un articolo pubblicato il 30-11--0001 alle 00:00 sul giornale del 24 aprile 2004 - 13574 letture

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