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corriere adriatico: Via Carducci, va in scena l'intolleranza

3' di lettura Senigallia 30/11/-0001 - Da qualche mese il quartiere Porto si è riempito di negozi etnici per lo più gestiti da extracomunitari.
Come vivono la situazione gli abitanti? C'è razzismo tra i senigalliesi?

La zona Porto diventata un "ghetto" di extracomunitari, secondo i residenti e i negozianti che vivono e lavorano tra via Carducci, via Mamiani, via della Darsena e stradine attigue. Un ghetto spuntato in poco tempo, da un anno a questa parte, popolato da cingalesi, nordafricani, pakistani e soprattutto uomini del Bangladesh.
Sono proprio gli asiatici che provengono da una delle zone più povere del mondo i nuovi commercianti della zona.
Hanno creato botteghe alimentari, piccoli market che sembrano bazar, dove si trova di tutto, dagli spaghettini cinesi alle spezie africane, dalla frutta esotica alle salse piccantissime del Marocco.
E poi ci sono i "phone center", aperti tutto il giorno e frequentatissimi dalla folla di stranieri venuti a Senigallia a cercare lavoro nella speranza di fare fortuna, di risolvere i problemi della famiglia, rimasta inesorabilmente nel luogo d'origine a patire la fame. In via Carducci ci sono due telefonie internazionali e un mini market, in via della Darsena un'altra telefonia e in via Mamiani un'altra ancora. Nel giro di pochi metri si vedono in faccia. Questo raggruppamento non piace proprio ai commercianti italiani del rione Porto, ma non perché vedono di cattivo occhio i nuovi negozi asiatici.
Quello che li preoccupa è il traffico losco e il chiasso che altri extracomunitari provocano nella zona, disturbando il lavoro e il passeggio di molti. "Non siamo razzisti nel modo più assoluto", continuano a ripetere i senigalliesi.
Non confondiamo le acque: gli asiatici dei negozi sono assai benvoluti dalla città. Prova del nove sia la parola della controparte straniera, di chi lavora in questi piccoli negozi, aperti da qualche mese, luogo di incontro di persone sole e di acquisto di cibi che ricordano i profumi di terre lontane.
Sono tutti del Bangladesh, pelle olivastra e sorrisi a trentasei denti.
Abdul Mumin è commesso all'Asiatic Food's, un bazar che vende anche carne e verdura: "Siamo aperti da sei mesi. Gli affari vanno bene, vengono moltissimi stranieri, asiatici e africani, ma a volte anche qualche italiano, curioso dei nostri cibi, soprattutto per le specialità indiane.
Abbiamo prodotti dalla Nigeria, dal Senegal, dall'India, provenienti dal nostro magazzino che sta a Falconara, e nel periodo natalizio siamo sempre aperti. I senigalliesi sono gentili con noi, non c’è ombra di razzismo".
Hanno un italiano stentato, conoscono un po' meglio l'inglese, con noi sono davvero cortesi, educati e molto riservati.
Islam Din invece sta in un phone center che noleggia pure videocassette in lingua originale: "Sto molto bene a Senigallia. Mi divido tra qui e Roma, dove abbiamo un altro phone center, ma sto meglio qui. A Roma i clienti non pagano mai e dicono che pagheranno il giorno dopo. Qui invece gli stranieri pagano subito. Vengono da tutto il mondo, da Algeria, Nigeria, Russia. Pakistan. Siamo aperti dalle 7 di mattina alle 11 di sera e c'è sempre via vai. I senigalliesi sono amici, ci salutano, ci sorridono. Anche tra stranieri stiamo bene. Quel che guadagno lo spedisco tutto in Bangladesh dove c'è mia madre, vedova, e i miei fratelli. Loro hanno bisogno di soldi".
"No problem", "very good": le due frasi più ripetute dai ragazzi del Bangladesh che lavorano a Senigallia. Stanno bene e non percepiscono razzismo di alcun tipo. Siete buoni con noi dice Sirajul Islam, che sostituisce l'amico al phone centro di via della Darsena - non abbiamo problemi. E da tanto tempo che vivo qui e si sta molto bene". Si accontentano di vivere in trenta in piccolissimi appartamenti sulla nazionale, spesso senza riscaldamento ne letto. Ma a casa loro, forse, non avevano nemmeno un tetto.
di Chiara Michelon





Questo è un articolo pubblicato il 30-11--0001 alle 00:00 sul giornale del 16 dicembre 2003 - 1744 letture

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