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voce misena: Tra la gente, per la gente

3' di lettura Senigallia 30/11/-0001 - Don Andrea Franceschini traccia il bilancio del suo primo anno di sacerdozio e accoglie nel presbiterio il neosacerdote don Giacomo Bettini

È passato un anno. I bilanci annuali si fanno a Capodanno, alla fine di un anno scolastico, i più pii alla fine dell'anno liturgico, certamente non ad ottobre... ma questi sono i giorni del mio compleanno di sacerdozio, ed inevitabilmente gli amici mi chiedono: "Come è andato questo primo anno?". Così a me, un po' imbarazzato, verrebbe voglia di sfuggire alla domanda rigirandola al mittente: "A voi come è andata?" ma non funziona! E poi in questi giorni la nostra Chiesa diocesana vive la gioia di un'altra consacrazione, quella di Giacomo Bettini, e così alla fine viene spontaneo anche a me fare qualche piccolo bilancio. Per noi sacerdoti un'ordinazione è sempre un momento in cui ci chiediamo dove il Signore ci ha portati rispetto a quello che in quel giorno, in silenzio sotto le mani del Vescovo, sognavamo, desideravamo o semplicemente ci aspettavamo. Eppure, a quella fatidica domanda, mentre il pensiero mi si incastra tra le mille preoccupazione dell'inizio del ministero, mentre di getto vorrei un po' sfogarmi per la stanchezza o lamentarmi per l'ultima delusione, ogni volta il mio cuore si mette a parlare e, indisciplinato come sempre, approfitta della mia debolezza per dire senza un briciolo di pudore: "È stato in assoluto l'anno più bello della mia vita". Già, come fare a nasconderlo. Il mio dolce Iddio mi accompagna ogni giorno senza mai lasciarmi, fasciando le mie ferite, preparandomi sorprese continue, sostenendo la mia debolezza, splendendo nelle mie solitudini, castigando dolcemente le mie vanità, ridendo sommessamente dei miei grandi progetti, ispirandomi desideri colmi del Vangelo, preparando una speranza per ogni delusione, una festa per ogni tristezza. Sì, ogni giorno io gli voglio più bene, e questa è la mia segreta consolazione, che il mondo non può conoscere, e che si affaccia serena quando il ministero scopre ad uno ad uno implacabilmente tutti miei limiti, codardie e pigrizie. Perché alla fine rispondere con fede alla chiamata di Dio è credere che la vita è bella, che vale la pena sorseggiarne tutti i sapori, la vittoria e la sconfitta, il perdono dato e ricevuto, l'amore e l'odio. Sì proprio tutti i sapori dell’ essere vivi, quelli dolci e quelli amari, e che anzi, forse proprio quelli apparentemente più amari, nascondono un tesoro di gioia scalpitante e di pace profonda. Perché cristiano è chi non butta via nulla di ciò che esiste, che si china ad amare ogni alito di umanità, ogni soffio della creazione, sapendo che l'amore di Dio volgerà in bene ogni cosa, anche la più maledetta, inchiodandola sulla croce, sconfiggendola dolcemente con l'umiltà dell'amore. Sì, Giacomo, vai con fiducia e con il tuo largo sorriso: a noi preti spetta ogni giorno il compito semplice e sublime di aiutare ogni uomo a rioffrire, con mani di sacerdote e cuore di amante, tutta la vita a Colui che tutto si è dato per l'uomo.
E ora lasciamelo dire, anche a te: grazie!
don Andrea Franceschini





Questo è un articolo pubblicato il 30-11--0001 alle 00:00 sul giornale del 21 ottobre 2003 - 1429 letture

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